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martedì 24 dicembre 2013
lunedì 16 dicembre 2013
Brahmacharya
Tratto da Yama, Niyama, Brahmacharya
Dr. Swami Shankardevananda Saraswati MB,
BS (Syd)
Il concetto di brahmacharya è uno dei
meno compresi nell’ambito degli yama e niyama. Si dice che la continenza doni virya, coraggio e forza
irriducibili ma si pensa anche che si riferisca al celibato o all’astinenza
assoluta dal pensiero e dalla pratica sessuale.
Anche se l’astinenza sessuale è un aspetto maggioritario del
brahmacharya, ne è solo una parte ed è una delle cose più difficili da
controllare. Si potrebbe definire come la porta che conduce al controllo dei
sensi perché la sua padronanza facilita il controllo delle altre attività
sensuali che ci permette di entrare nel territorio del pratyahara, il ritiro
dei sensi.
Brahmacharya è soprattutto un
atteggiamento mentale nei confronti degli aspetti sensuali; il suo significato letterale è quello
di rivolgere la mente verso l‘assoluto e di conseguenza allontanarla
dall’indulgenza sensuale. Questo stato implica che, nello stato perfetto,
quando siamo assorti nella coscienza più alta, la beatitudine e la conoscenza
spazzeranno via il desiderio di attività sessuali e sensuali in quanto
sperimenteremo uno stato di maggiore appagamento.
Sri Nisargadatta
Maharaj ha riassunto lo stato di brahmacharya quando ha detto:”Il mio mondo è
come il tuo. Io vedo, sento, penso, parlo e agisco in un mondo che percepisco
come te. Ma per te è tutto, per me, è quasi niente…la realizzazione, il piacere
e il dolore hanno perso la loro influenza su di me. Mi sono liberato dal desiderio
e dalla paura. Mi sono ritrovato pieno, bisognoso di niente”.
Questo stato è libero dal bisogno di
indulgere sensualmente.
Sulla strada verso questo stato la pratica dell’astinenza sessuale è necessaria
in modo che la mente non sia continuamente distratta dal pensiero del cibo, del
sesso e da altri piaceri; in questa maniera potremo essere più consapevoli del
nostro appagamento interiore. Tutto ciò non significa che non dobbiamo
assecondare i nostri bisogni sensuali ma non dovremmo lasciarci prendere dal
senso di colpa e dalle reazioni di uno stato mentale negativo. Se questo si
manifesta, è molto meglio assecondare le richieste del corpo.
Il pericolo della repressione
Molte persone
soffrono inutilmente nel tentativo di padroneggiare brahmacharya. L’attività
sessuale è molto potente, è un bisogno biologico al quale sono legate le
emozioni più forti. I buddisti dicono che l’istinto sessuale è attivo prima
della concezione e della nascita e che determini la selezione dei futuri
genitori e del genere durante lo sviluppo embrionale. Ogni tentativo di
dominarlo richiede coraggio e determinazione. Si dice sia una forza talmente
potente che tentare di padroneggiarla possa essere come attaccarsi alla coda di
una tigre.
Un’altra
sofferenza inutile è quella legata ai sensi di colpa, alle nevrosi e ai
complessi che riguardano l’energia sessuale. Chi si sente in colpa ogni volta
che ha un pensiero sessuale, chi ha paura di diventare debole a causa
dell’emissione di seme, può trovare sollievo nell’idealizzare ciò che
brahmacharya immagini che sia. Ma, se il desiderio ardente sussiste, questo
interferirà con i sistemi ormonale e nervoso e causerà risposte fisiche che non
saremo in grado di fermare o reprimere in quanto ogni tentativo a tal riguardo
tenderà ad indebolire lo stesso sistema nervoso e genererebbe un circolo
vizioso di sbilanciamento mentale, malattia, psicosi che alla fine sarà
impossibile gestire.
Primi passi nel brahmacharya
I primi passi
nel brahmacharya andrebbero fatti una volta consolidate le pratiche di base
previste da asana, pranayama , tecniche meditative, di concentrazione e di
rilassamento.
Asana e
pranayama rilassano il sistema nervoso e riducono l’eccitazione sessuale
permettendoci di migliorare il controllo di nadi e nervi ottenuto attraverso le
pratiche meditative. Meditazioni semplici come yoga nidra per il rilassamento,
antar mouna per sviluppare il distacco e la capacità del testimone,
disinnescano la risposta emozionale del pensiero. In questo modo, noi penseremo
con la corteccia frontale del cervello senza coinvolgere l’emotività nel
sistema limbico e di conseguenza non stimoleremo l’attività del sistema nervoso
autonomo o delle ghiandole endocrine. In pratica potremo pensare a ciò che
vogliamo senza esserne coinvolti.
La formula di base del brahmacharya è:
lavora duro, mangia di meno, dormi di meno.
Anche se Freud
ha detto che una filosofia del genere lavora sulla sublimazione del desiderio
sessuale verso altri scopi creativi, c’è molto di più. Lavorare sodo significa
usare la propria energia in modo da essere così stanchi da fare qualsiasi altra
cosa, le nostre menti risulteranno così impegnate da problemi, responsabilità e
pensieri che non penseranno più all’attività sessuale.
Questo non è
abbastanza per il brahmacharya perché molte persone pensano che se devono
lavorare duro devono anche sostenersi mangiando molte proteine e cibi ricchi di
grassi ma, così facendo, aumentano il loro bisogno sessuale invece di ridurlo.
Il cibo è una parte molto importante del
brahmacharya essendo il
cibo stesso una fonte primaria per la soddisfazione dei piaceri sensuali che
accende allo stesso tempo il fuoco del desiderio sessuale. Nel brahmacharya, il
cibo deve essere insipido, libero da stimolanti come te e caffè, aglio, cipolla
e spezie di vario genere. La dieta deve contenere poche proteine soprattutto
derivate da carne, pesce e prodotti caseari. La ghiandola pituitaria richiede
proteine e vitamine E e B per la produzione di ormoni quindi se mangiamo meno
proteine produrremo meno ormoni e le proteine assimilate saranno usate per i
bisogni più necessari.
La dieta di uno
yogi è più ricca di carboidrati che grassi e proteine soprattutto sotto forma
di cereali integrali. Questo stimola nel cervello il rilascio di serotonina che
quando entra in circolo riduce l’eccitazione sessuale favorendo stati simili a
quando sogniamo e forse favorendo anche l’esperienza visionaria interna.
Una dieta simile
non ferma l’attività sessuale ma riduce gli effetti che questa esercita sulla
mente. La dieta non è tutto e va
combinata con altre pratiche di yoga e con la consapevolezza di cosa sia lo
scopo della disciplina. Tutto ciò va bilanciato con il celibato che non è fine
a se stesso ma uno strumento per ridurre le distrazioni che ci allontanano
dall’obiettivo finale.
L’attività sessuale non è un peccato.
Gli yama e
niyama, quando si basano su pratiche yogiche ben sviluppate, diventano
promemoria dai quali possiamo attingere equilibrio ogni volta che la mente
attraversa crisi, desideri, passioni, emozioni intense, odio e così via. Tutti
gli aspetti devono essere approcciati con la consapevolezza dei nostri limiti e
dobbiamo sempre ricordare che anche se falliremo molte volte, con la costanza,
avremo successo.
Il fine ultimo
degli yama e niyama non è quello di imporre un sistema etico e morale che
renderebbe la vita noiosa e tediosa e le nostre menti rigide ma quello di
affievolire il potere delle nostre passioni in modo da canalizzare l’energia
nel risveglio della kundalini e verso una coscienza superiore.
A quel punto
yama e niyama si trasformeranno da una forma di sadhana in una realizzazione
che aprirà le porte verso la libertà e la gioia.
giovedì 5 dicembre 2013
Mahasamadhi
Tratto da “Sannyasa
-Cultivating Spiritual Awareness-“
di Swami Niranjanananda Saraswati
Il 5 dicembre del 2009, il nostro guru, Sri Swami Satyananda
Saraswati, è entrato in mahasamadhi.
Il 2 dicembre si era appena conclusa la cerimonia di Yoga Purnima
dove Sri Swamiji aveva detto che stava ancora aspettando il suo biglietto di
ritorno e che non se ne sarebbe andato fino a quando non gli fosse stato
garantito.
Tre giorni dopo, alle 10.30 di notte, chiamò Swami Satsangi
e disse: “Ho ottenuto il mio biglietto di ritorno e andrò via oggi”. Quando gli
fu chiesto di essere più preciso sulla data, Swamiji rispose:”Ora”.
Swami Satsangi lo raggiunse a casa e lo vide seduto in
meditazione. Ad un certo punto, lo vide unire le mani in preghiera e dire:
“Dio, io sono pronto. Prendimi.” Dopo di che, Swamiji bevve alcuni sorsi di
acqua del Gange, mise delle foglie di
tulsi in bocca, si abbandonò sempre di più alla meditazione e lasciò il suo
corpo recitando l’Om.
Ancora una volta, Sri Swamiji ci ha impartito una lezione
insegnandoci come morire in un modo
yogico in quanto, per lui, la morte era al pari della celebrazione della vita.
Prima di ritirare tutto il prana e lasciare il corpo, emise
un suono con la bocca, un suono che si fa solitamente durante i matrimoni nel
Bengala e anche in alcune tribù aborigene. La lingua colpisce velocemente e
ripetutamente il palato superiore e genera il suono ulu-ulu-ulu. In Bengala,
questa usanza viene appunto chiamata
“fare ulu” e significa che sta per aver
luogo l’unione fra due persone. Sri Swamiji fece questo suono proprio prima di
lasciare il suo corpo per indicare che la sua anima si stava per congiungere con l’Anima
Superiore.
Leggiamo di yogi, rishi e siddha in grado di rinunciare al
loro prana con la volontà ma ad oggi lo abbiamo solo sentito, nessuno li ha
realmente visti. Sri Swamiji ci ha invece fornito la prova che quello che è
stato scritto nelle pagine di storia è vero ma naturalmente, per lui, non è
stato così difficile in quanto era proprio una persona fuori dal comune.
domenica 24 novembre 2013
Yama, Niyama, Brahmacharya
Dr. Swami Shankardevananda Saraswati MB, BS (Syd)
Yama, Niyama, Asana, Pranayama,
Pratyahara, Dharana, Dhyana, Samadhi
sono gli otto stadi della disciplina yogica. Non-violenza, verità, onestà,
continenza e non-possesso sono i cinque yama (restrizioni). Purezza,
appagamento, austerità, studio di sé e abbadono al Divino sono i niyama
(prescrizioni).
Yoga Sutras,
11:29, 30, 32
Uno degli ostacoli più grandi per una
profonda comprensione dello yoga è nel concetto di yama e niyama così come è
esposto negli Yoga Sutra di Patanjali.
Molta gente
raccoglie le parole dei grandi Maestri e dopo averle analizzate
intellettualmente pensa di avere progredito nella pratica dello yoga. Ma questo
è solo un altro inganno della mente in quanto una simile conoscenza diventa una
vera barriera che ostruisce una comprensione più ampia.
Nell’approcciare
un libro vasto come quello di Patanjali dobbiamo cercare di avere una visione
globale e non periferica. Quando nel primo sutra afferma, “E adesso le istruzioni
che riguardano lo yoga”, stabilisce implicitamente che l’aspirante sia già ben
consolidato nella pratica del karma e dello bhakti yoga, che abbia già messo
ordine nel suo stile di vita, nelle sue emozioni e nella sua vita
intellettuale.
I primi anni di
yoga devono comprendere asana, pranayama e hatha yoga; devono essere anni in
cui noi cerchiamo di lasciare andare i nostri preconcetti e nei quali ci
apriamo in modo da aspirare ad una conoscenza vera, basata su esperienza e
analisi interna. Solo dopo questo, potremo realmente comprendere le definizioni
di asana e pranayama di Patanjali; una
postura ferma e confortevole che può essere mantenuta per ore senza bisogno di
muoversi e pranayama inteso come cessazione dell’inspiro e dell’espiro.
Gli otto stadi dello yoga
Nell’approcciare
gli otto stadi del raja-yoga dobbiamo mettere da parte l’intellettualizzazione,
l’analisi, l’approccio lineare e vedere il tutto come un insieme organico.
Un approccio
corretto è decisamente più appropriato perché la perfezione negli yama e niyama
può esserci solo se c’è il samadhi. Un completo appagamento e l’abbandono al
Divino, per esempio, sono il risultato della trascendenza e non la causa.
Possiamo
iniziare praticando yama e niyama ma puntualmente dobbiamo sottoporli ad un
lavoro di valutazione. Quando progrediamo dal punto di vista yogico,
padroneggiando le pratiche di asana e pranayama e accedendo agli aspetti più
interiori di pratyahara, dharana e dhyana, possiamo capire meglio come lavorano
yama e niyama.
Gli otto stadi
del raja-yoga non fanno parte di un percorso lineare ma lavorano
contemporaneamente come parti integranti di un organismo che è appunto il
raja-yoga. Tutto va elaborato e padroneggiato allo steso tempo. Questo è il
motivo per cui Patanjali afferma che praticando tutte le parti previste dalla
disciplina yogica, le impurità diminuiscono fino a quando sarà possibile il
risveglio della conoscenza spirituale che culmina nella consapevolezza della
realtà. (Y.S., 11:28).
Possiamo dire
che gli otto stadi del raja-yoga hanno due aspetti, il primo è quello relativo
alla pratica, il secondo alla realizzazione. Patanjali dice che quando si
pratica yama a prescindere dalla nascita, dal luogo, dal periodo e dalle
circostanze che ci riguardano, questo diventa una disciplina importante che
produce risultati auspicabili come la cessazione di tutte le ostilità intorno a
chi pratica ahimsa, non-violenza, e la consapevolezza di come e da dove
nasciamo, supportato da aparigraha, la capacità di non accumulare. (Y.S., 11:31,
35, 39).
Il sentiero verso il traguardo
Sul sentiero che
conduce al successo di yama e niyama, si possono incontrare molti ostacoli.
Convinzioni errate, disturbi mentali, passioni, avidità, rabbia, confusione e
vecchie abitudini tendono ad imporsi e ad inibire questo processo specialmente
se manca la forza di volontà e la determinazione o se il nostro desiderio di
progredire spiritualmente è debole.
Patanjali dice
che i disturbi che intralciano il cammino possono essere lievi, medi o intensi
e che possono essere superati con “pratipaksha bhavana” ovvero pensando
l’opposto. (Y.S., 11:33, 34). Per esempio, se desideriamo qualcosa, questo
disturberà la nostra mente e il nostro sistema nervoso e ci farà comportare in
modo contrario a quanto previsto da aparigraha. Se, a causa di questo, ci
sentiamo in colpa o frustrati perché non riusciamo ad ottenere il risultato
desiderato e poi proviamo a sopprimere il desiderio, questo ritornerà ancora
più forte andando ad aumentare i nostri disturbi mentali.
La soppressione
consuma energia fisica e mentale e può portare ad un vero e proprio disagio
fisico-mentale. Patanjali ci avverte di usare creativamente la nostra attività
mentale mettendo energia nello sforzo di creare una visione positiva che si
opponga all’ostacolo, al disturbo manifestato. In questo modo, svilupperemo
l’abitudine al pensiero positivo, creativo, e svilupperemo una calma che
contrasterà l’eccitazione e l’esaurimento del nostro sistema nervoso.
Ciò che bisogna
ricordare è che il progresso in yama e niyama deve essere necessariamente lento
e che il successo arriverà nel futuro. Gandhi, per esempio, ha trascorso
l’intera vita nello sforzo di padroneggiare la non-violenza e brahmacharya.
Anche il nostro approccio deve essere lento, fermo e bilanciato, deve essere
preso da una giusta prospettiva. La guida di un maestro esperto, la pazienza,
la tolleranza nei confronti del fallimento, l’onestà con se stessi e la
persistenza sicuramente sfoceranno nel progresso se non nella padronanza.
martedì 12 novembre 2013
Sperimentazione e ricerca
Tratto da La crescita di Satyananda Yoga o Bihar Yoga
Swami Niranjanananda Saraswati – pubblicato su Yogamag
numero di gennaio 2000
Il tema centrale dello yoga
Satyananda/Bihar è quello della sperimentazione e della ricerca. Quando Sri
Swamiji si trovava a Rishikesh da Swami Sivananda, non si fermò agli
insegnamenti del suo maestro ma studiò le scritture in modo da avere una
visione completa dei diversi sistemi e delle diverse scuole. Sri Swamiji ha sempre detto:”Prima si
sperimenta, poi si adotta”.
Iniziò a sperimentare con
la consapevolezza delle scritture e
fornì un approccio pratico iniziando dalle asana. La serie di pawanmuktasana, gli shakta bandha e la suddivisione delle
asana furono create nel primo periodo. Subito dopo sviluppò i metodi di
pranayama che oggi sono adottati in tutto il mondo.
Sri Swamiji riscoprì molte
meditazioni tantriche che insegnava alle classi sotto forma di antar mouna, ajapa japa, trataka, chidakasha
dharana, prana vidya e yoga nidra. All’inizio sperimentava queste pratiche
sugli swami e io ho avuto l’onore di essere stato sottoposto ai suoi
esperimenti di yoga nidra fin da piccolo. Sri Swamiji sperimentava, osservava e
solo dopo scriveva, solo dopo aver costatato di prima persona gli effetti di ogni
singola pratica proposta.
Tutti i libri della Bihar
School of Yoga sono il risultato di esperimenti condotti da lui all’inizio
della sua ricerca. Nel testo Yoga Nidra, sono stati rivelati tutti i livelli
diversi di yoga nidra in accordo con il sistema tantrico del nyasa. La serie di
meditazioni pratyahara, i livelli di antar mouna, ajapa japa e prana vidya, le
pratiche di kriya yoga e kundalini yoga sono tutte contenute nei testi
pubblicati dalla Bihar School of Yoga.
Sri Swamiji fu la prima
persona a scrivere un opus magnum sul kriya yoga che fino ad allora rimaneva un
soggetto tabù insegnato solo in segreto a pochi individui selezionati. Non
solo, lui ha rotto questo tabù ma ha reso disponibile l’intero processo del
kriya yoga in un corso di tre anni distillando l’essenza delle pratiche,
definendole e mettendole in una sequenza precisa.
Sri Swamiji fu il primo a
spiegare il ruolo di mudra e bandha in modo scientifico. Fino ad allora erano
letteralmente solo dei concetti e nessuno aveva mai fatto il tentativo di
spiegarli praticamente. Le pubblicazioni Moola Bandha: The Master Key, Hatha
Yoga Pradipika, Yogic management of Asthma e Diabetes and Yogic Management of
Common Diseases sono un esempio della profonda conoscenza che lui ha trasferito
ai suoi discepoli sannyasin. Tutti questi libri convergono tutto il pensiero
che sta alla base della missione yogica.
Quando nel 1963, Sri Swamiji
fondò la Bihar School
of Yoga nel vecchio Ashram di Sivananda a Munger, condusse una serie di corsi
per insegnanti dai nove mesi ad uno che durava un solo mese. Il suo desiderio
era quello che la gente potesse ottenere una comprensione profonda dello yoga
attraverso l’esperienza e l’integrazione della stessa nello stile di vita, nel
pensiero, nell’ambiente. La gente iniziò ad arrivare da ogni parte del mondo:
Australia, Giappone, Europa, U.K., Nord e Sud America e anche dall’India
stessa.
In questi corsi, Sri Swamiji
fu ispiratore del concetto di investigazione scientifica applicata alla pratica
dello yoga. La prima ricerca sulle asana fu condotta in Polonia nel 1968 da T.
Pasek e dal Dott. W. Romanowski del Dipartimento di fisiologia dell’Accademia
di Educazione Fisica di Varsavia. Lo
studio si concentrò su asana principali tra cui sirsasana e sugli effetti che
queste avevano sull’anatomia umana, sul cervello, sui sistemi
cardiocircolatorio, respiratorio e digestivo; i metodi utilizzati erano
fisiologici, biologici e psicologici.
Contemporaneamente, Sri
Swamiji stimolò la ricerca yogica nel Bihar e nel 1968 il Dott. Sreenivas,
Direttore dell’Istituto di Malattie Cardiocircolatorie Indira Gandhi di Patna,
condusse una ricerca di sei mesi sugli effetti dello yoga nel limitare e
invertire il percorso di malattie cardiache; i risultati sono stati poi
pubblicati su The Effects of Yoga on Hypertension.
Nel 1978, una ricerca sugli
effetti sulle malattie legate al sistema respiratorio fu condotta dal Raipur
Medical College con l’assistenza di Satya Darshan Yogashram e la supervisone di
Sri Swamiji. Ricerche sugli effetti dello yoga sulle malattie della pelle fu
condotta da un college ayurvedico in Raipur sempre sotto la guida di Satyananda
mentre nel 1978 il Burla Medical College di Sambalpur, Orissa, condusse una
ricerca sulla gestione del diabete con lo yoga che coinvolse centinaia di pazienti
ad Orissa, nel Bihar e nel Bengala. Tale studio portò ad una conclusione, che
diabetici non dipendenti dall’insulina potevano essere curati e facilmente
gestiti con l’ausilio delle pratiche yogiche.
Lo yoga, fino a questo
momento, era sempre stato insegnato per i benefici fisici e per modellare il
corpo ma quando i risultati di queste ricerche iniziarono a diffondersi, l’idea
dello yoga cambiò radicalmente. Altre organizzazioni indipendenti iniziarono
anche loro a condurre ricerche specifiche; un contributo notevole fu quello di
Swami Rama dell’Himalayan Institute degli Stati Uniti, che era in grado di
fermare il battito del suo cuore per lunghi periodi di tempo. Sempre dagli USA
arrivò un altro contributo, quello di Swami Nadabrahmananda, capace di rimanere
in kumbhaka (ritenzione del respiro) per quarantacinque minuti in una camera
ermetica mentre suonava la tabla. Anche in India, molti swami si sottoposero ad
esperimenti scientifici che condussero a sviluppi incoraggianti e significativi
per la comprensione dello yoga sotto questo aspetto.
Allo stesso modo, dopo aver
visto i risultati delle ricerche sui disturbi respiratori, cardiaci, digestivi,
muscolari, delle ossa e del sistema nervoso, molti istituti medici indiani
decisero di adottare il sistema yoga. Nel 1993, il governo del Bihar incluse lo
yoga nel sillabario MBBS. Alla Bihar School of Yoga fu chiesto di insegnare
yoga terapia in otto istituti medici governativi del Bihar. Per due anni,
medici e swami della Bihar School of Yoga insegnarono yoga terapia agli
studenti di medicina di diversi college. Il ramo del Bihar dell’Indian Medical
Association raccomandò alla sede di Nuova Delhi, l’Indian Medical Council,
l’inclusione dello yoga nel sillabario MBBS. Al momento, questa raccomandazione
è ancora in fase di considerazione. Il governo del Bihar ha anche ufficialmente
permesso di istruire giovani medici nel loro praticantato secondo i principi e
le pratiche di yoga terapia attuati presso la Bihar School of Yoga.
Inoltre, il Dipartimento
della Salute del governo del Bihar ha identificato una serie di malattie che
possono essere gestite con le pratiche semplici di asana, pranayama e e
shatkarma. Questa lista è dettagliata nel libro Yogic management of Common
Diseases.
Sri Swamiji era solito
incoraggiare ogni insegnante di yoga nell’individuare un’area in cui
specializzarsi, creando così molti esperti in settori particolari dello yoga.
Nel corso dei tempi, l’intensità della ricerca scientifica è aumentata; in
Australia, il dott. Swami Shankardevananda si è dedicato alla serie di
pawanmuktasana e nello specifico al movimento muscolare che avviene quando si
fa un’asana; in Canada, Swami Arundhati sta attualmente conducendo una ricerca
sui livelli della pressione sanguigna durante gli shatkarma.
Anche quando Sri Swamiji ha
lasciato l’ashram nel 1988, ci ha incoraggiato a portare lo yoga in diversi
settori sociali; nel 1994 gli swami della Bihar School of Yoga si sono dedicati
ad uno studio che coinvolgeva l’esercito; gli swami furono portati al campo base
del ghiacciaio Siachen dove sperimentarono le condizioni alle quali erano
sottoposti i soldati ed individuarono un programma di yoga adatto a
fronteggiare la situazione. La stessa cosa fu fatta a Bikaner, nel Rajasthan
dove si confrontarono con il deserto. Questo ha fatto sì che l’esercito abbia
poi deciso di istruire un’ unità di soldati con le pratiche yogiche per poi
metterli a confronto con le unità sottoposte a training standard. Anche se il
progetto non è ancora partito, l’esercito ha rinnovato l’interesse ad attuarlo
nel futuro prossimo.
Nel 1994 fui invitato a
Parigi all’International Education Conference organizzata dal RYE. L’argomento
che interessava me era quello all’applicazione dello yoga in un ambiente
scolastico ed è stato un successo al punto
che rappresentanti di 17 paesi hanno deciso di introdurre lo yoga come
parte del sistema educativo.
Sempre nel 1994, è stato
avviato il progetto che riguarda 24 prigioni del Bihar e da allora ogni anno si
tengono al loro interno training lunghi un mese. Nel 1996 avevamo già istruito
450 ergastolani che hanno ricevuto la certificazione ufficiale da parte della
Bihar School of Yoga e che ora insegnano regolarmente yoga agli altri
carcerati. La cosa sorprendente è che il governo del Bihar ha deciso di ridurre
la pena a tutti coloro che dimostrano interesse nello yoga.
Lo yoga è stato portato
anche nel campo dello sport e nel 1999 una serie di programmi di training sono
avviati con la collaborazione dell’autorità sportiva indiana sia a Calcutta che
a Delhi.
E’ cosi che il lavoro di
ricerca di Sri Swamiji continua ancora oggi e molti progetti sono allo studio
per essere avviati.
Un progetto che coinvolge
tutti gli swami è Sita Kalyanam che si tiene ogni anno a Rikhia, il tapobhumi
(luogo del sadhana) di Swami Satyananda. Sivananda Math, un’istituzione
caritatevole creata da Sri Swamiji nel 1984 ha adottato un intero panchayat
(distretto) a Rikhia con molti paesi e circa diecimila famiglie. Ogni anno,
tutte le famiglie vengono fornite con vestiti, casalinghi, oggetti per uso
personale, sociale e vengono sostenuti con abitazioni, lavoro e un sistema
educativo e sanitario altrimenti assente. Fare parte di queste attività è
compreso nel sadhana di tanti swami.
Questa discussione riflette
l’energia che Sri Swamiji ha infuso nel sistema del Satyananda/Bihar Yoga che
va detto, è differente da altri sistemi anche perché è un sistema che si
evolve, è una scuola dove si sviluppano i concetti. Quando lo yoga diviene
parte dell’ambiente umano, delle necessità umane ed eventualmente anche della
cultura, allora diventa universale e dinamico, progressivo e ispirante. E’ yoga che si evolve. Le antiche
tradizioni sono continuamente un riferimento ma quello che viene fuori da loro
è ampliato fino a comprendere l’intera natura umana.
sabato 2 novembre 2013
La crescita di Satyananda Yoga o Bihar Yoga
di Swami Niranjanananda Saraswati: pubblicato su Yogamag numero di gennaio 2000
Per capire la crescita e lo
sviluppo della tradizione di Satyananda
Yoga, conosciuta anche come tradizione Bihar
Yoga, dobbiamo comprendere quali sono le componenti e che cosa la renda una
scuola specializzata nell’intera tradizione dello yoga.
Cinquant’anni fa, il lato
filosofico dello yoga era conosciuto da un numero ristretto di persone ma
nessuno conosceva il lato pratico. Si credeva che lo yoga fosse per
rinunciatari, sadhu e sannyasin che avevano rinunciato a tutto e avevano
abbandonato la vita mondana per vivere in contemplazione, meditazione,
riflessione, introversione e isolamento; quel modo di raggiungere la salvezza
non poteva essere adottato da persone comuni inserite nella società in quanto,
nella vita, avrebbero dovuto rinunciare alla maggior parte degli attaccamenti,
desideri, ambizioni e sforzi. Lo Yoga era conosciuto solo come filosofia, come
forma di disciplina che poteva essere utilizzata per rafforzare lo spirito, la
mente, il corpo e la vita. Nel secolo scorso, il sapere teoretico fu diffuso al
pubblico da Swami Vivekananda, Sri
Aurobindo, Ramana Maharishi, Swami Kuvalyananda, Baba Ram Das, Swami Sivananda,
Yogi Ramacharaka e altri.
Tutti questi maestri
seguirono tradizioni e scuole di yoga già consolidate che si dividevano in
scuola del Nord e scuola del Sud. La prima era quella insegnata e praticata dai
rishi e muni della cintura del Gange, cintura del Narmada e Himalayana. La
seconda, era relativa allo yoga praticato dai gruppi di sadhu, santi,
rinunciatari e reclusi, mistici e siddha del Sud. Oggi, il maggiore esponente
di questa scuola è T. Krishnamacharya,
il maestro di Deshikachar e Iyengar.
Così come gli hatha yogi, la scuola meridionale pensa che la perfezione ultima
sia raggiungibile ottenendo una forma fisica perfetta
La scuola del Nord è più
meditativa affondando le sue radici negli Yoga Sutra di Patanjali dove
l’enfasi è sulla gestione della mente, del pensiero e la parte di hatha yoga
viene menzionata di meno. All’interno di questa scuola, ci sono diversi
paramapara, tradizioni e culture che riguardano l’hatha yoga, il kriya yoga, il
kundalini yoga, ci sono raja yogi, jnana yogi e bhakti yogi. Tutti gli yogi
hanno in comune una cosa: lo yoga, una pratica e una disciplina attraverso la
quale è possibile rafforzare la propria natura per realizzare lo spirito umano
e che permette di svegliare il potenziale latente in modo da diventare un
essere umano perfetto e bilanciato in una o migliaia di espressioni che
coinvolgono la vita.
Lo yoga ha due origini, una
proviene dal Tantra e una dai Veda. Il Tantra ha sviluppato una filosofia e una
serie di pratiche che nella tradizione sono conosciute come yogachara, condotta
per gente che pratica il tantra attraverso lo yoga. I Veda, invece, attingono
alle Upanishad. Ognuna di esse rappresenta una linea di apprendimento, una
tradizione, un parampara. Lo yoga diventa il processo che porta al superamento
di corpo e mente e all’esperienza dello spirito.
Solo negli ultimi
cinquant’anni i sadhu più visionari hanno capito che lo yoga sarebbe diventato
un bisogno per la società del futuro. Nella scuola del Nord, il precursore di
questa visione fu il nostro paraguru, Swami
Sivananda che diede allo yoga una svolta dinamica, attingendo dalla
filosofia per mettere poi il tutto in pratica. Il Dashnami sannyasa parampara
al quale apparteniamo segue una tradizione vedica non yogica e all’inizio degli
anni quaranta iniziò ad istruire i sannyasin con un sistema pratico
comprendente hatha yoga, raja yoga, bhakti yoga, jnana yoga, kriya yoga,
kundalini yoga, mantra yoga e ogni altro yoga estratto dalle scritture. Swami
Sivananda diede la possibilità di comprendere lo yoga a tutti, non solo a sannyasin
e yogi ma anche a gente comune.
I suoi insegnamenti erano
così ispiratori che molti sannyasin provenienti dal suo ashram ricevettero il
mandato di propagare lo yoga enfatizzandone un aspetto particolare. Swami Satchidananda che negli USA fondò
il Movimento di Yoga Integrale, si concentrò sulle componenti dell’hatha yoga,
jnana yoga e bhakti yoga. Swami
Vishnudevananda, il cui centro principale si formò in Canada, si focalizzò
nello stabilire e fondare molti Centri Vedanta Sivananda per l’insegnamento
dell’hatha yoga. Swami Venkateshananda
insegnò raja yoga nell’isola di Mauritius.
Il nostro guru, Swami Satyananda il cui mandato comprendeva anche di insegnare yoga
come parte del suo sadhana, enfatizzò lo yoga integrale e altre componenti
provenienti dagli altri yoga ma con maggiore enfasi si dedicò allo yoga
tantrico.
Il sistema di yoga tantrico
comprende le pratiche di kundalini yoga, kriya yoga, mantra yoga, laya yoga e
stadi avanzati di pratyahara e dharana, dhyana e samadhi. Dal lato vedico, Sri Swamiji
prese elementi di bhakti yoga, karma yoga, jnana yoga ,il concetto dei chakra e
sviluppò un sistema di meditazione basandosi sul Tantra e sui Veda (vedi libro
Meditations from the tantras – 1974). I primi insegnamenti furono pubblicati
nel 1971 in
un libro chiamato Tantra Yoga Panorama dove Sri Swamiji esponeva i concetti del
tantra applicabili ai bisogni della società moderna.
Swami Satyananda ispirò la
gente a fare i conti con se stessa attraverso un atteggiamento corretto e
discriminatorio, attraverso azioni e parole che avrebbero portato ad una
trasformazione della personalità umana. La fondazione della Bihar School of
Yoga da parte di Sri Swamiji fu il coronamento di un desiderio di Swami
Sivananda, quello di sviluppare un percorso yogico integrato. Sri Swamiji fu un
pioniere nel portare lo yoga ad un pubblico ampio e nel rompere vecchi miti,
fuori dall’India il Bihar Yoga è conosciuto come la tradizione di Satyananda
Yoga.
Il metodo di insegnamento di Sri Swamiji
Quando Sri Swamiji lasciò
Rishikesh nel 1956 con il mandato e la benedizione del suo guru Swami
Sivananda, iniziò a viaggiare per tutta l’India con l’obiettivo di comprendere
i bisogni della società. Viaggiò dall’Afghanistan allo Sri Lanka, dal Pakistan
a Burma, cercando di verificare cosa avesse bisogno la società. Sri Swamiji
capì che la tradizione vedantica, come filosofia, non sarebbe stata in grado di
aiutare la società in quanto aveva bisogno di fondamenti pratici rintracciabili
nel tantrismo espresso attraverso lo yoga. Sri Swamiji riuscì a valutare il
fatto che lo yoga sarebbe diventato un grande bisogno per la gente, non come
mezzo di salvezza ma come possibilità per ottenere sollievo immediato per
qualsiasi sbilanciamento psicosomatico che avrebbe aggravato la salute fisica,
mentale, emotiva, morale e spirituale.
Sri Swamiji individuò due
approcci per ottenere benessere in un modo positivo, per sviluppare un
carattere integrato, aperto e bilanciato e per incoraggiare la gente a guardare
in faccia la vita. Il primo approccio è quello di capire la natura umana, la
mente, la psiche e lo spirito attraverso le pratiche del raja yoga; superare
gli ostacoli immediati come la frustrazione e l’ego e sviluppare azioni
omogenee e armoniose attraverso il karma yoga; canalizzare le emozioni con il
bhakti yoga; essere capaci di guardare dentro e fuori con pace mentale con lo
jnana yoga; andare a fondo nel sadhana con il kriya yoga, il kundalini yoga, il
nada yoga, lo swara yoga, il mantra yoga e tutte le altre forme di yoga
conosciute.
Per Sri Swamiji, questo
approccio fondamentale andava arricchito con lo stile di vita, la capacità di
guardare la vita con occhi diversi, di vedere il dolore e la sofferenza come
indicatori dello sforzo umano legato al proprio karma. L’insegnamento e
l’istruzione dello stile di vita prese anche altre forme con l’incoraggiamento
di incorporare lo yoga nella vita quotidiana e non solo relegarlo ad espediente
per trovare sollievo in una situazione stressante. In questo modo, proponeva
uno stile di vita alternativo rinfrescando la tradizione dei sannyasin,
enfatizzando il diritto spirituale di ogni individuo di diventare appunto
sannyasin in questa vita. Con questo, Sri Swamiji portò molte persone ad
integrare lo yoga nel proprio quotidiano, fornì a molti un aiuto concreto
insegnando lo yoga come terapia e come mezzo per raggiungere la pace interiore
nel rispetto della diversità di ogni essere umano. La sua idea era che lo yoga
potesse essere applicato a chiunque.
Nella sua prima conferenza
che si tenne a Munger nel 1964, Sri Swamiji disse: “Munger diventerà il centro
dello yoga per il mondo intero e troverà così un posto sulla mappa del mondo”
Molte persone si chiesero se stesse dicendo la cosa giusta e oggi hanno avuto
risposta.
Sri Swamiji aveva un metodo
particolare per insegnare alla gente di paesi diversi, di razze diverse e di
credi diversi. Fu il primo insegnante di yoga indiano che andò in Occidente per
proporre lo yoga in un modo molto specifico. Nel 1968 Sri Swamiji iniziò il suo
primo tour mondiale. Per sei mesi lasciò Munger e piantò i semi dello yoga al
di fuori dell’India. Non solo parlò della teoria dello yoga con termini pratici
e scientifici rendendola comprensibile a tutti ma diede un insieme di pratiche
yogiche in modo che la gente potesse farne esperienza. Nei tour successivi rese
disponibili altre pratiche e principi in modo da ampliare la conoscenza dello
yoga in relazione al corpo umano, alla mente, alla psicologia, alla personalità
e al miglioramento delle qualità umane.
Il piano che Sri Swamiji
attuò fu quello di insegnare yoga in ogni viaggio, asana, pranayama, mudra,
bhanda, shatkarma, teniche di prathyara, di kundalini yoga, tecniche relative
ai chakra , di scardinare i preconcetti che la gente aveva sullo yoga e, allo
stesso tempo, incoraggiandoli e dando speranza. Prima di lui, nessuno aveva mai
insegnato pranayama in quanto considerato materia tabù sia in Europa che in
India.
I suoi insegnamenti ci hanno
fornito di una materia molto vasta senza che fosse vista come impossibile da
affrontare ma, se ci pensiamo bene, è più che sufficiente per un’intera vita.
Io attribuisco allo sforzo di Sri Swamiji il fatto che a tutto il mondo sia
stata fornita la possibilità di approfondire la conoscenza dello yoga. Il suo
stile unico trattava lo yoga sotto ogni aspetto, fisiologico, psicologico e
spirituale. Sri Swamiji vedeva la persona non come corpo ma composta dalle
qualità di testa, cuore e mano, intelletto, emozione ed azione e cercava quindi
di accedere a tutte le tre dimensioni. Chi ha ricevuto questo training è stato
molto fortunato. Oggi, noi riconosciamo che fra tutte le tradizioni di yoga, il
Satyananda/Bihar Yoga è l’unico che integra le dimensioni fisiche, psicologiche
e spirituali in ogni pratica.
mercoledì 23 ottobre 2013
Lo yoga dello sconforto
Tratto da Bhagavad Gita
Lecture given by Swami Satyananda Saraswati
in Denmark
on 14th March, 1971
Il primo capitolo della Gita si chiama “Lo yoga dello
sconforto”. Ci sono molti tipi di
yoga: hatha yoga,bhakti yoga, karma yoga, tantra yoga, nada yoga, gyana yoga e
così via, ma avete mai sentito lo yoga dello sconforto, del disappunto, della
frustrazione e del collasso? Lo yoga non ha inizio quando girate la mala ma
quando tutto sembra pesantemente contro di voi, quando, nella vostra vita,
state affrontando dei problemi. Fino a quando la vostra anima non incrocia il
conflitto, fino a quando la vostra mente non incontra difficoltà e disappunto,
entrambe non si attiveranno ma vivranno come un maiale, assolutamente
soddisfatto e contento di dormire in continuazione.
Non considerate queste
difficoltà e questi problemi come qualcosa che proviene dal mondo esteriore, la Gita non parla di problemi
materiali o delle necessità di base della vita come il cibo e gli abiti ma
parla degli stessi problemi dell’uomo che tanto fanno discutere gli psicologi
ovvero quei problemi radicati così nel profondo che coinvolgono la vostra
personalità interiore, che sono profondi tanto quanto le pianure sottoceaniche.
Potete sempre dire che non
avete problemi ma io non ci credo perché senza loro, è impossibile esistere.
Questa dualità o anime in contraddizione lavorano fianco a fianco in ogni uomo
ad esclusione dei saggi illuminati. Quando diventiamo coscienti di queste forze
contrastanti, piangiamo ed urliamo perché non sappiamo come eliminarle e invece
qui inizia lo yoga.
Non dobbiamo gettare una coperta sopra le nostre
debolezze. Sia che siate un uomo
bravo o cattivo, un uomo pieno di passione o uno con tendenze criminali, dovete
capire cosa c’è dentro di voi. La psicologia moderna ha portato alla nostra
attenzione il fatto che nel mondo ci sono migliaia e migliaia di persone che
non vogliono sapere cosa sono perché se lo scoprissero ne sarebbero spaventate
e terrorizzate. Sia che si tratti della nascita o della morte, di una perdita o
di una vincita, di una lode o una critica, passione o rabbia, ogni volta che si
verifica qualcosa che vi turba, dovete andare a fondo nella vostra coscienza e
scoprire cosa sta succedendo, dovete capire bene. Questo è il secondo consiglio
della Gita.
Scoprire e comprendere i
propri conflitti non significa eliminarli e per questo è necessario iniziare un
sadhana – la parte pratica dello yoga. Nella Gita, il sadhana inizia con il
karma yoga, lo yoga dell’azione che significa trasformare il proprio karma e le
proprie attività quotidiane in un modo tale che conducano ad un progresso
spirituale. Insieme al karma yoga, dovrete praticare raja yoga e poi bhakti
yoga e poi ancora gyana yoga in modo da diventare vincitori della battaglia ed
eliminare i conflitti radicati nella vostra personalità. Quando la vostra mente
sarà completamente libera dall’influenza e dalle associazioni generate dai
conflitti, solo a quel punto sarete un uomo liberato – un jivanmukta.
Secondo la Gita , il concetto di
liberazione non vuol dire chiudere gli
occhi, ritirare la mente ed entrare nel grande vuoto ma vivere la vita senza
esserne travolti mai, in nessun modo, a nessun costo. E’ il distacco nel mezzo
dell’olocausto.
Quando affrontate questa
vita illogica e particolare, il grande vuoto è completamente eliminato. Nella
Gita si dice che la salvezza riguarda l’amore, l’odio, la frustrazione e il
compiacimento.
La gente ama pensare “Io
sono Brahman, sono pieno di fede, sono parte di quella coscienza” e poi, nella
vita di ogni giorno, combatte con la propria moglie. La libertà completa va
oltre la dimensione terrena e va però portata nella vita quotidiana, non deve
essere relegata nella stanza della meditazione ma deve entrare nella vostra
cucina, esprimersi quando lavorate, quando guidate la macchina, quando dovete
affrontare una crisi emotiva.
Per far esperienza della
libertà totale in ogni ambito della vita, meditare per un’ora non è
sufficiente, dovete reindirizzare la vostra filosofia verso una mente in
salute, verso una cultura che tenga conto delle nuove dimensioni della
coscienza.
La rinuncia non è libertà. Secondo la
Gita , l’astensione e il tirarsi indietro dai propri doveri
significa vivere la vita a metà. Lo yoga della Gita è conosciuto come purna yoga – lo yoga completo. Se vi
trovate bene con il bhakti yoga e pensate che l’hatha yoga sia per la gente
malata, che il raja yoga sia per gli swami, che il karma yoga e il gyana yoga
non fanno per voi ma che volete solo cantare il nome di Dio e ballare in suo
onore state facendo apurna yoga ovvero state facendo yoga ma in una maniera non
completa. Bisogna cercare una giusta combinazione di yoga perché la personalità
è composta da dinamismo, devozione, misticismo e razionalità. Nella vita,
questo è il nutrimento necessario e in base a questo dovete praticare karma
yoga per il dinamismo, bhakti yoga per le emozioni e per la devozione, raja
yoga o tantra yoga per il misticismo e gyana yoga o Vedanta per la razionalità.
Quando vorrete inserire la
filosofia della Gita nella vita quotidiana, vi dovrete ricordare di questi
cinque punti. Prima di tutto, lavorate
duro; aspettatevi le cose ma se non vengono non disperatevi; siate coraggiosi e
buttatevi in nuove avventure.
Qualsiasi tipo di yoga
praticate, non dimenticatevi la coscienza centrale o l’Atman dentro di voi. In
ultimo, non condannate nessuna fase della vita perché sono tutte fasi di
coscienza. Se condannate la vita di qualcuno, un padre di famiglia, un
sannyasin, un ubriacone, ecc., generate malattia nella vostra mente.
Nella Gita, Krishna afferma
che sia il malato che il delinquente che il santo sono tutti lati diversi della
sua evoluzione, angoli diversi della sua grande figura.
Se praticate hatha yoga,
karma yoga, bhakti yoga, ecc., con un atteggiamento liberale nei confronti
della vita, non solo avrete successo ma otterrete l’illuminazione.
L’appagamento non si ottiene
con la conquista ma arriva da un senso di illuminazione che si ottiene con lo
yoga. Ognuno di voi deve provare lo yoga perché vi assicuro che se il mondo vi
ha deluso, se la vostra famiglia e i vostri amici vi hanno deluso, se anche il
vostro corpo e le vostre stesse promesse vi hanno deluso, c’è solo una cosa che
non vi tradirà e non vi deluderà mai, lo yoga.
Potete pure prendere questa
cosa come una dichiarazione ardita da parte mia.
domenica 13 ottobre 2013
Bhagavad Gita
Lecture given by Swami Satyananda Saraswati
in Denmark
on 14th March, 1971.
La “Srimad Bhagavad Gita” è conosciuta come Gita e fa parte del grande poema epico “Mahabharata” che
significa “La Grande
India ”. Per molti secoli, questo libro ha segnato le menti
dei pensatori e degli uomini di stato indiani e ha coinvolto non un’ora ma
un’intera vita della gente indiana. E’ una filosofia che la mente indiana
capisce velocemente.
Quando si parla della Gita, dobbiamo fare riferimento
a Krishna perché è colui che ha
rivelato la Gita
ad Arjuna e fino a quando non si conosce tutta la vita di Krishna, il
significato della Gita rimarrà oscuro.
Dalla nascita, Krishna non
incontrò altro che ostacoli e sofferenze. Giorno dopo giorno, dovette
combattere e scontrarsi con nemici di ogni tipo e nonostante ciò, non ci fu un
solo giorno che non rise. Nella mitologia indiana, Krishna viene rappresentato
come il ragazzo birichino, il giovane che gioca nei campi con i ragazzi e le
ragazze mandriani, come un uomo politico che offre consigli da esperto, il
guerriero che combatte in battaglia e come il guru che impartisce lezioni di
yoga e altre scienze.
Quando entrambi gli eserciti
erano pronti per combattere, il virtuoso Arjuna si lasciò prendere da un grande
sconforto e quando realizzò che avrebbe ucciso membri della propria famiglia,
decise di rinunciare alla battaglia. Qui è dove ha inizio la Gita e dove Lord Krishna
interviene dicendo che un uomo deve affrontare la vita, accettarla e
combatterla sotto ogni aspetto. Chi si aspetta una vita confortevole e
assoggettata alle proprie necessità, è destinato a soffrire in quanto bisogna
accettare la vita così come si presenta e ottenere il meglio che può dare
attraverso una filosofia, la conoscenza o la fede.
Ogni uomo si adopera per
soddisfare le proprie ambizioni e i propri desideri, infatti quando questo
succede è felice ma allo stesso tempo ha anche paura di perdere ciò che ha
ottenuto e se non ci riesce, è completamente distrutto. Questo è lo scenario da
sul quale si sviluppano tutti i problemi della vita, mentali, psicologici e
emotivi e questa è la battaglia eterna che si deve affrontare e combattere dalla
nascita alla morte.
I Cinque e i Cento Fratelli stanno a rappresentare le
due grandi forze conflittuali che
coesistono in ogni individuo. Per far sì che l’individuo progredisca, il
conflitto è necessario, senza queste forze opposte non è possibile evolvere. Il
confort e il piacere rappresentano la morte in quanto non permettono
all’individuo di andare avanti nella propria vita. Le difficoltà e i problemi
sono, invece, la forza acceleratrice dell’evoluzione umana. Da qui apprendiamo
che bisogna sempre affrontare il conflitto e solo in questo modo l’animo potrà
crescere. La conoscenza divina e spirituale arriverà solo a colui che accetterà
e capirà la natura del conflitto.
Fra queste due fazioni o
forze opposte, c’è Lord Krishna che è il condottiero del carro. Il suo corpo è
la biga, il cocchio, lui è l’anima interiore o il guru che può aiutare ogni
uomo nel suo conflitto. Krishna non è direttamente coinvolto nella lotta ma sta
dietro quella lotta, creando quel conflitto permette alla coscienza individuale
di evolversi. Sulla base di questo contesto, dobbiamo comprendere la Gita.
Nella vita umana, una forza deve essere controllata
mentre l’altra deve essere espressa.
Il conflitto deve essere affrontato con un’aspirazione e un background yogico.
L’unica cosa da fare quando si manifesta il conflitto è capirlo e iniziare a
praticare yoga.
Lo yoga riguarda l’evoluzione della coscienza
individuale dal livello più basso ad un piano più alto.
sabato 5 ottobre 2013
Mirabai (seconda parte)
dagli insegnamenti di Swami
Sivananda Saraswati
Re Akbar
Una
volta, il re Akbar e il suo musicista di corte, Tansen, arrivarono a Chitore
per ascoltare le canzoni devozionali di Mira. Entrambi entrarono nel tempio e
si misero in ascolto di quelle canzoni che scuotevano l’anima.
Akbar
rimase così coinvolto che prima di partire, toccò i piedi sacri di Mira e, come
offerta, infilò al collo dell’idolo una collana di smeraldi. La notizia arrivò
alle orecchie orecchie di Rana che si infuriò e ordinò a Mira di gettarsi nel
fiume in quanto aveva disonorato ancora una volta la sua famiglia.
Salvata
Mira
obbedì all’ordine del marito e andò al fiume per annegarsi. I nomi Govinda,
Giridhari, Gopal rimasero sulla sua bocca. Appena alzò i piedi dal suolo, una
mano la afferrò da dietro, si girò e vide il suo amato Krishna. Mira cadde in
trance ma dopo pochi minuti aprì gli occhi e vide Lord Krishna sorridere.
Krishna
le disse:”Mia cara Mira, la vita con il tuo marito mortale è sorpassata e adesso
sei completamente libera. Sii felice, adesso sei mia. Vai subito per le strade
di Vrindavan. Cercami lì, figlia mia. Fai presto!”. Poi, Krishna sparì.
Vrindavan
Mira
accolse subito la chiamata divina e si avviò immediatamente camminando scalza
sulla sabbia bollente del Rajastan. Lungo il viaggio, fu ospitata da donne,
bambini e devoti. Raggiunse Vrindavan e trovò il suo suonatore di flauto (ndt:
con Flute-bearer si intende Lord Krishna – “The Flute–bearer of Vrindavan) ) .
Ogni
giorno mendicava per il cibo e celebrava la divinità nel mandir di Govinda che
diventò un famoso luogo di pellegrinaggio. I devoti di Chitore arrivarono a
Vrindavan per vederla. Arrivò anche Rana Khumba che si pentì per le sue gesta
crudeli. Mira si prostrò davanti a lui.
Mira
avrebbe voluto ricevere il darshan di Jivan Gosain, capo dei Vaishnavites di
Vrindavan ma lui rifiutò perché non avrebbe mai permesso ad una donna di stare
alla sua presenza.
Così
Mira rispose:”Tutti sono donne a Vrindavan. Solo Giridhari Gopal è Purusha ma
oggi vengo a sapere che c’è un altro Purusha oltre a Krishna”.
Jivan
Gosain si vergognò di se stesso e comprese la grandezza di Mira, andò a vederla
e le porse i suoi omaggi.
Immortale
La
fama di Mira si spinse molto lontano tanto che molte principesse e regine
iniziarono ad andare e venire nel luogo dove lei si trovava. Ranis, kumaris e
maharanis (**vedi nota) erano già apparse sul palcoscenico del mondo ma erano
sparite.
Perché
solo la regina di Chitore viene allora
ricordata? E’ a causa della sua bellezza o per le sue capacità
poetiche?
No.
E’ a causa della sua rinuncia, della sua devozione unidirezionale nei confronti
di Lord Krishna e della sua realizzazione divina. Lei si trovò faccia a faccia
con Krishna, parlò al suo amato e mangiò con Lui. Dal profondo del suo cuore,
lei suonò la musica della sua anima, la musica del suo amore. Fece esperienza
della suprema visione cosmica e vide Krishna negli alberi, nelle pietre, nelle
rocce, nei fiori, negli uccelli e in tutti gli esseri. Fino a quando esisterà
il nome di Krishna così esisterà il nome di Mira.
E’
estremamente difficile trovare un parallelo con la meravigliosa personalità di
Mira, una santa, filosofa, poeta e saggia. La sua vita ha un fascino
particolare, è bellezza e meraviglia. Era una principessa ma abbandonò i
piaceri del lusso per una vita povera e austera. Anche se era una donna
delicata, riuscì ad intraprendere il difficile sentiero dello spirito e si
sottopose a diverse prove con un coraggio unico. Mira aveva una forza di
volontà unica.
Le
canzoni di Mira infondono fede, coraggio, devozione e amore di Dio, sono fonte
d’ispirazione per chi si avvia sul sentiero della devozione, generano un
brivido meraviglioso e sciolgono i cuori.
Nell’oceano dell’amore
Mira
era senza paura, gioiosa, amabile, graziosa ed elegante. Non era interessata
all’opinione pubblica o a quello che prescrivevano le scritture, lei non
celebrava i rituali devozionali ma ballava nelle strade. Krishna era suo
marito, padre, madre, amico, parente e guru.
Il
profumo della devozione di Mira si sentiva da molto lontano. Tutti quelli che
venivano in contatto con lei erano travolti da un’ondata d’amore. Il suo cuore
era un tempio devozionale e il suo volto era il fiore di loto dell’amore
divino. C’era gentilezza nella sua espressione, amore nei suoi discorsi, gioia
nei suoi gesti, potere nelle sue parole e fervore nelle sue canzoni.
Le
canzoni mistiche di Mira erano come un balsamo emolliente per i cuori infranti
e i nervi scossi. La dolce musica delle sue canzoni dona un’influenza benigna
agli ascoltatori, rimuove la discordia e la disarmonia e coccola nel sonno.
E’
così grande il potere dell’amore espresso nelle sue canzoni che anche i non
religiosi e gli atei ne sono profondamente colpiti.
Il
nome di Gridhari Gopal era sempre sulle labbra di Mira e anche nei sogni, lei
viveva e riponeva il proprio essere in Lord Krishna.
Un
simile stato di esaltazione non può essere adeguatamente espresso con le
parole.
Mira
era immersa nell’oceano dell’amore.
**il
termine Rani può essere tradotto genericamente con Regina; con Kumari o
Kumari-Devi si intende la tradizione di venerare ragazze pre-adoloscenti come
manifestazione dell’energia divina femminile; il titolo Maharani viene
attribuito alle mogli dei Maharaja o negli stati dove era possibile, alle donne
che governavano.
Qui
viene riportata un’interpretazione molto sintetica ma dietro questi termini si
celano significati più complessi rappresentativi della vasta cultura e
tradizione Hindu.
giovedì 26 settembre 2013
Mirabai
dagli insegnamenti di Swami
Sivananda Saraswati
Mirabai
è considerata una reincarnazione di Radha (*vedi nota). Nacque nel 1502 nel
villaggio di Kurkhi nel Rajasthan. Era la figlia di Rathan Singh Ranthor, che,
insieme a tutta la famiglia, era un grande devoto di Vishnu. Mira fu cresciuta
con gli insegnamenti Vaishnava che influenzarono tutto il suo cammino sul
sentiero di devozione nei confronti di Lord Krishna.
Infanzia
A
quattro anni, Mira manifestò tendenze religiose e imparò ad onorare Krishna. Un
giorno, davanti alla sua casa, passò una processione matrimoniale, vide la
sposa tutta ben vestita e chiese innocentemente alla madre: “Mamma, chi sarà il
mio sposo?”. La mamma sorrise e un po’ scherzando e un po’ seriamente, indicò
l’immagine di Sri Krishna: “Mia cara Mira, Lord Krishna – quella bellissima
immagine – sarà il tuo sposo”.
La
giovane iniziò ad amare intensamente l’idolo di Krishna e a passare il suo
tempo lavandolo e vestendolo. Onorava l’immagine, dormiva con lui, ci ballava
intorno estasiata, le cantava delle bellissime canzoni e le parlava.
Familiari
Il
papà di Mira organizzò il suo matrimonio con Rana Kumbha di Chitore. Mira fu
una moglie devota che obbediva agli ordini del marito. Alla fine di ogni
giornata, quando i doveri domestici erano terminati, andava al tempio di Lord
Krishna e lo onorava cantando e ballando; l’immagine si alzava, la abbracciava,
suonava il flauto e le parlava.
Alla
suocera, chiacchierona e gelosa, non piaceva il comportamento di Mira e cercava
di obbligarla a venerare la dea Durga ma lei non cedeva e rispondeva: “Ho già
dato la mia vita al mio amato Lord Krishna”.
Sua
cognata diede inizio ad una congiura contro di lei e iniziò a diffamarla
dicendo a Rana Kumbha che Mira era
segretamente innamorata di atri e che lo aveva visto con i suoi occhi. Gli
disse anche che gli avrebbe rivelato il nome degli amanti se lui fosse andato
con lei al tempio di notte e che Mira stava disonorando la loro famiglia.
Nel
cuore della notte, Rana spalancò la porta del tempio e corse dentro, trovando
Mira estatica mentre parlava al suo idolo. Le domandò: “Mira, con chi stai
parlando? Svelami il tuo amante”. Lei rispose:” Lì siede il mio Signore, il
Navichora che ha rubato il mio cuore” e così dicendo, ricadde in trance.
Tortura
Mira
fu perseguita da Rana e la sua famiglia in molti modi. Ricevette lo stesso
trattamento che Prahlad ricevette da suo padre Hiranyakashipu. Lord Hari difese
Prahlad così come il Signore Krishna rimase sempre al fianco di Mira.
Un
giorno, Rana nascose un cobra in un cestino contenente una ghirlanda di fiori e
lo spedì a Mira. Dopo aver fatto il bagno e aver onorato Krishna, lei lo aprì e
ci trovò una bellissima statuina di Krishna immerso nei fiori.
Un’altra
volta, Rana le mandò una tazza contenente veleno con un messaggio che diceva
che era nettare. Come prima cosa Mira lo offri al Signore e poi lo consumò come
Prasad e il veleno si trasformò in vero nettare. Ancora in un’altra occasione
ricevette da Rana un letto di chiodi dove, dopo il rituale, Mira si coricò e
questo divenne un vero letto di rose. (continua….)
Note:
*Radha.
Presso
la religione induista,
Radha (o Radharani) è la consorte di Krishna (l'ottavo avatar di Visnu), nonché
un'importante personificazione della Shakti, l'energia divina
femminile. Nell'articolata simbologia induista, Radha rappresenta la totale devozione per Dio e l'abbandono
incondizionato a Lui.
lunedì 9 settembre 2013
Ricreare un’immagine
Tratto da Le Vritti
di Swami Niranjanananda Saraswati
La mente lavora in
tre modi. Possiede l’abilità di ricreare qualcosa ma quando le facoltà e le
energie della mente sono dissipate, quello che ricreiamo nella nostra testa non
sarà chiaro. Questa è conosciuta come immaginazione. Quando le facoltà
diventano più rilassate e focalizzate, quello che ricreiamo assumerà una forma
più limpida. Ci sarà un momento in cui non saremo in grado di capire se quello
che vediamo internamente è differente da quello che vediamo esternamente.
Facciamo un esperimento.
Chiudete gli occhi.
Con gli occhi chiusi, pensate mentalmente ad un fiore,
qualsiasi tipo di fiore, e cercate di vedere quel fiore nello spazio di
chidakasha, lo schermo interno che sta davanti ai vostri occhi chiusi.
Semplicemente osservate il pensiero del fiore e quello che,
nella vostra mente, state cercando di ricostruire. Potete vederlo chiaramente?
No. Al momento lo state immaginando. State associando l’idea che avete del
fiore legata ad un ricordo, ad una sensazione, un sentimento, un’emozione ma la
chiarezza visiva non c’è ancora. Questa è immaginazione.
Ora, nel momento in cui sarete capaci di isolare la visione
di un fiore dalle sovraimpressioni ed emozioni personali, gradualmente, sarete
in grado di delineare i contorni dell’immagine e anche il colore o i colori del
fiore.
Quando il fiore prenderà una forma definita, ci troveremo
davanti ad un processo di visualizzazione e quando saremo in grado di
dissociarci completamente dall’immagine mentale o dal concetto, quando
quell’immagine non sarà influenzata dalle nostre proiezioni personali, si
manifesterà in chidakasha con un’intensa consapevolezza. A questo punto inizia
darshan, la capacità di vedere la realtà al di là delle imposizioni mentali.
Adesso potete aprire gli occhi.
I tre stati mentali
Dobbiamo sperimentare
tre stati mentali: immaginazione, visualizzazione e darshan. In ogni stato,
la qualità della mente cambia. Nell’immaginazione, ci sono le associazioni con
le idee, gli eventi e i sentimenti. Nella visualizzazione, queste associazioni
diminuiscono e rimane solo la consapevolezza. Quando tutte le associazioni
cessano e la consapevolezza si intensifica, ecco che sperimentiamo darshan, la
manifestazione del fiore dentro noi.
Per raggiungere questo livello, dobbiamo iniziare con le
pratiche di base di pratyahara.
Pratyahara è lo
sviluppo della consapevolezza, dharana è lo sviluppo dela concentrazione e
dhyana è l’esperienza dell’unità, l’armonia interna e l’equilibrio.
Nella consapevolezza, c’è il riconoscimento delle attività
interne del corpo, la dimensione dei sensi, il cervello, la mente conscia e
subconscia, la presa coscienza delle associazioni che arrivano da tutte le aree
della nostra vita. Quando sperimentiamo tutte queste attività, ci possiamo
muovere verso il passo successivo, lasciare andare, imparare a rilassarci e non
permettere alle reazioni mentali di venire a galla. Se riusciamo ad osservare
le reazioni mentali, avrà inizio la terza fase di pratyahara.
Yoga Nidra e Antar Mouna
La prima fase di yoga
nidra è pratyahara, l’espansione e la consapevolezza della personalità nel
suo totale, non solo del corpo ma anche delle impressioni mentali
e,possibilmente, anche dei samskara che sono profondamente impressi nella
nostra mente.
Il processo di yoga nidra si divide in tre parti: yoga nidra
pratyahara, yoga nidra dharana e yoga nidra dhyana.
Fino ad adesso abbiamo sperimentato le pratiche preliminari
dello yoga nidra pratyahara che sono quelle descritte nei libri.
Nello yoga nidra dhyana, nidra, la vritti del sonno è
trascesa o sublimata.
Nello yoga nidra dharana è invece sotto il controllo di chi
pratica.
Lo yoga nidra pratyahara è il sonno senza sonno, dove
sperimentiamo cosa ci sta succedendo, quindi questa pratica diventa una parte
importante del pratyahara perché ci permette di lavorare sui diversi livelli
della nostra personalità attraverso un ordine sistematico.
Sono sicuro che se praticate sinceramente yoga nidra,
potrete far esperienza della profondità del rilassamento, della consapevolezza
e dell’armonia mentale. Io non insegno meditazione a nessuno, soprattutto
adesso che ci stiamo muovendo verso un nuovo modo di insegnamento attraverso
l’università dello yoga.
La meditazione è un soggetto tabù e la preparazione alla
meditazione viene fatta esclusivamente attraverso lo yoga nidra. Fino a quando
yoga nidra non sarà perfezionato, non sarà possibile perfezionare pratyahara.
Per attivare questo perfezionamento, pratichiamo antar mouna
dopo la sessione di yoga nidra.
Antar mouna,
letteralmente, significa “silenzio interno”. E’ una tecnica con la quale
possiamo osservare l’ attività mentale conscia attraverso l’osservazione del
pensiero.
Le due tecniche messe insieme hanno a che fare con la mente
superficiale. Lo yoga dice che ci sono due tipi di mente, la manifesta,
superficiale, e l’immanifesta, la reale. La prima viene sperimentata in tutta
la sua gloria e l’ego è la manifestazione finale. Questo ego è negativo quindi
dobbiamo cercare di guardare a tutte le componenti della mente manifesta e
dell’ego negativo ogni volta che pratichiamo yoga nidra e antar mouna.
giovedì 29 agosto 2013
Le Vritti
di Swami Niranjanananda Saraswati
Lo yoga nidra viene
considerata una pratica di rilassamento,una pratica preliminare alla
meditazione, ma è una semplice tecnica individuata per fare un’esperienza
profonda della coesione della mente umana. Yoga Nidra è un marchio registrato
da Satyananda Yoga. Che cosa fa? Ieri parlavamo dei concetti di pratyahara e
gestione della mente. Lo scopo dell’ashtanga yoga è quello di diventare
consapevoli della mente e gestire le diverse tendenze che vengono in superficie
senza la nostra consapevolezza.
Queste attività che affiorano nella mente sono conosciute
come vrittis. La parola “vritti” significa “un vortice”, un’attività circolare
che non ha inizio e non ha fine. Lo yoga descrive cinque tipi di vrittis.
Invece di andare a ricercare il significato di ognuna, dovremmo focalizzarci
sulle componenti che formano ogni vritti.
La prima componente
di una vritti è la comprensione. Abbiamo una comprensione parziale
di come ci comportiamo e di come interagiamo nelle nostre vite. L’aspetto della
comprensione è l’abilità di vedere in quale direzione stiamo andando.
La seconda componente
è la reazione. Qui non c’è un giudizio logico ma una reazione
spontanea alle cose esterne che producono piacere o dolore, felicità o
frustrazione.
La terza componente
di una vritti è la percezione. Percepiamo la condizione di una data
situazione o di un ambiente sotto forme diverse. Questa, può essere colorata
dai guna in maniera positiva, negativa o neutrale ma può anche essere colorata
dalle nostre proiezioni, dal nostro ego, dalle nostre ambizioni. Di conseguenza
vedremo il mondo sotto la variazione di colore generata dalla nostra
percezione.
La quarta componente
è la memoria o le impressioni ricevute che custodiamo nella nostra
mente e che diventano le linee guida per i nostri comportamenti futuri.
Quindi, comprensione,
reazione, percezione e memoria sono le quattro componenti delle vritti.
Armonizzare le vritti
Nella nostra mente,
le vritti sono continuamente attive. Non sto parlando del conscio, del
subconscio o dell’inconscio perché l’intensità di una vritti è diversa ad ogni
livello. Cercheremo invece di osservare come le vritti condizionano l’intera
mente. Per armonizzare, sublimare ed eliminare le vritti, dobbiamo seguire un
processo, una sequenza.
Per prima cosa, dobbiamo sviluppare una consapevolezza
oggettiva in modo da percepire esattamente cosa sta succedendo intorno a
noi e dentro di noi senza esserne coinvolti. Diventando immuni alle attività
delle vritti attraverso la consapevolezza è una prima forma di sadhana.
Secondariamente, dobbiamo imparare a lasciare andare, a
rilassarci, a liberare lo stress che si è generato nella nostra mente, nel
nostro corpo e nelle nostre emozioni senza però contrapporre un controllo
conscio. Ogni evento della vita causa tensione; la tensione è anche il
risultato naturale della vita. Nel momento in cui questa tensione aumenta, il
comportamento della mente e del corpo ne viene negativamente influenzato.
Imparare a rilassarsi e a gestire le tensioni esterne ed interne è il secondo
sadhana.
Terzo, dobbiamo canalizzare la nostra creatività in
modo che si manifesti attraverso il sankalpa. La canalizzazione è una
comprensione conscia della positività della vita e lavorare per l’ottenimento
di quella qualità positiva diventa anche la nostra principale direzione.
Come quarta cosa, dobbiamo sviluppare la concentrazione
attraverso il processo di visualizzazione che è la parta più importante di ogni
tecnica di pratyahara, inclusa yoga nidra. Come ci concentriamo? Come focalizziamo
le nostre menti? Dobbiamo pensare ed intensificare un dato pensiero, dobbiamo
diventare consapevoli di qualcosa e intensificare questa consapevolezza.
Dobbiamo fissare la nostra mente su un particolare punto e cercare di
intensificare la focalizzazione. Questo è il normale concetto di concentrazione
– guardare qualcosa molto intensamente attraverso gli occhi della mente, e non
permettere alla mente di andare a destra e sinistra. Dal momento che questo
tipo di concentrazione può creare stress nella mente e nella personalità
psichica dobbiamo considerare che comunque la concentrazione deve essere
un’esperienza unidirezionale senza che si crei alcun tipo di reazione interna o
tensione.
Immaginazione e visualizzazione
Per ottenere una concentrazione uniforme, omogenea e
armoniosa, lo yoga utilizza delle tecniche di visualizzazione e immaginazione.
L’abilità di visualizzare ed immaginare esprime effettivamente la forza della
mente. Ci sono diverse forme di immaginazione. L’immaginazione può essere falsa
o reale, fantasiosa o consapevole di qualcosa che esiste nella vita reale. Il
più delle volte, cerchiamo di scappare dalla realtà creando un’immaginazione
fantasiosa, non corrispondente al reale.. Questa forma di immaginazione non è
accettata dallo yoga. Lo yoga dice, osserva la realtà e fai esperienza di
quella realtà. L’esperienza della realtà si manifesta quando pratichiamo una
concentrazione nella quale non c’è fluttuazione della mente. Ma come possiamo
allenarci a focalizzare? Possiamo focalizzarci ripensando ad un’attività fisica
e osservandola, ad un’attività mentale ed osservandola, o ricreando un’immagine
mentale che ci aiuti a liberare un’impressione impressa nella nostra coscienza.
Per addentrarci in questo processo di visualizzazione,
possiamo osservare le diverse parti del corpo e ricreare una loro immagine
mentale. Possiamo osservare un’esperienza immagazzinata dentro noi sotto forma
di un ricordo del passato. Non importa se quell’esperienza è stata fisica o
mentale. L’esperienza del caldo e del freddo è un’esperienza fisica.
L’esperienza del piacere, della soddisfazione, dell’appagamento e del
divertimento è un’esperienza interna. L’esperienza del dolore e della
sofferenza sono un’esperienza interna. Possiamo quindi far affiorare quell’esperienza
sotto forma di immaginazione.
martedì 20 agosto 2013
Sognare consciamente
Da “Sui Sogni “
Dagli insegnamenti di Swami
Sivananda Saraswati
YOGA GOLDEN JUBILEE Year1 – issue 6 - June 2012
pag. 22
Durante lo stato di sogno,
l’anima dell’individuo non sa che sta sognando. Non è consapevole di se stessa perché è legata dai
gunas di prakriti; passivamente osserva le creazioni della mente sognatrice
come effetto dei samskaras dello stato di veglia.
Durante lo stato di sogno è
possibile rimanere coscienti del fatto che si sta sognando. Se si impara ad essere testimoni
dei propri pensieri quando svegli, si può arrivare ad essere consapevoli anche
nel sogno. Si possono alterare, fermare o creare i pensieri e di conseguenza
rimanere svegli anche in questo stato.
Se
si riesce a controllare i pensieri nello stato di veglia, li controlleremo
anche nel sogno.
Il significato
Talvolta i sogni sono
interessanti e si avverano, predicono eventi.
Il
primo gennaio 1947, un signore di Haridwar sognò che sarebbe stato a Benares la
notte del tre gennaio. Si rivelò vero. Un ufficiale sognò che era stato
trasferito ad Allahbad e la stessa mattina ricevette l’ordine di trasferimento.
Un’altra persona sognò che avrebbe avuto un incidente in macchina il sabato
seguente e così accadde. Si può fare una corretta predizione riflettendo sui
sogni.
Nessuno si conosce veramente
se non ha analizzato i propri sogni. Lo studio dei sogni dimostra come sia misteriosa
l’anima. I sogni rivelano l’aspetto della propria natura, quella che trascende
la conoscenza razionale. Ogni sogno ha un significato.
Un sogno è come una lettera
scritta in un linguaggio sconosciuto. Molti enigmi della vita si risolvono attraverso i
suggerimenti forniti dai sogni.
I sogni indicano in quale
direzione sta andando la vita spirituale di una persona.
Attraverso
l’osservazione dei sogni, si può ricevere un consiglio adeguato per auto
correggersi o per sapere come agire in una particolare situazione.
I sogni segnano un sentiero
sconosciuto allo stato di veglia.
I
santi e i saggi appaiono nei sogni durante i tempi difficili e ci mostrano la
via.
La vera realtà
Chi
pratica il Vedanta studia attentamente il sogno e il sonno profondo dimostrando
in una maniera logica che lo stato di veglia è irreale tanto quanto quello del
sogno. Dichiara che l’unica differenza fra i due stati è che la veglia è un
sogno molto lungo, deergha swapna.
Fino
a quando si sogna, gli oggetti dei sogni sono reali, quando ci si sveglia, il
mondo dei sogni diventa falso. Con l’illuminazione o la conoscenza di Brahman,
questo mondo di veglia diventa irreale come quello del sogno.
La
verità è che non nessuno dorme, sogna e si sveglia perché non c’è realtà in
questi tre stati.
Per questo vi invito a trascendere i tre stati e rimanere nel quarto
stato di turiya, la beatitudine
eterna di Brahman. Rimanete in a, la
vostra personale forma di verità, coscienza e felicità.
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