mercoledì 24 settembre 2014

Il potere della riflessione

 di Swami Niranjanananda Saraswati

 tratto da Avahan Magazine numero 3 anno 3 Maggio – Giugno 2014

L’investigazione e la riflessione sono conosciute come atma vichara.
Il motivo di questa dissertazione sta nella volontà di far disperdere quella nuvola di ignoranza per permettere una comprensione migliore e completa. In caso contrario, che senso avrebbe riflettere? Che senso avrebbe pensare?

Quando riflettete, avete la tendenza a rimuginare sui problemi invece che cercare una soluzione. In condizioni normali, se nella vita c’è un pensiero o un qualsiasi tipo di riflessione, riguarda sempre la vostra sofferenza o quel qualcosa che non avete, quello che è chiamato il “fattore di preoccupazione”.
Nella vostra vita, la riflessione non è pura perché si nasconde sempre dietro la preoccupazione con la conseguenza che vi identificate con questa e la vostra mente ne rimane ingarbugliata. Non riuscite ad essere naturali, spontanei, liberi ma vi imbrigliate nel vortice dove vi ha trascinato un pensiero, un’idea, un sentimento, un’emozione. Vi fate trasportare giù in quel vortice di preoccupazione che fa sparire sia la speranza che quello che avete acquisito fino a quel momento. E’ come andare a fondo nell’oceano senza avere la possibilità di risalire a galla. Abbandonate il cielo, il sole, il vento mentre siete trascinati verso il fondo dove l’acqua vi soffocherà. Questa è avidya, questa è ignoranza. L’aspetto negativo della riflessione vi porterà sempre in un sempre più profondo stato di ignoranza.

La riflessione vera è l’antidoto, invece di preoccuparvi, rifletteteci correttamente sopra. Trovate la soluzione al problema e invece di iniziare a pensare “Io sono così..”, riflettete sul coltivare le vostre potenzialità  che vi permetteranno di non essere solo fatti in quel modo. Cercate di scoprire se potete essere migliori e diversi. Attraverso la riflessione, il senso di colpa e l’ignoranza possono essere evitati in modo da avere una mente più limpida. Con la chiarezza in mente, arriverà anche la saggezza e la giusta conoscenza. Questa saggezza e conoscenza sono atma vichara, riflettere sul proprio essere. Nella preoccupazione, nell’ansia e nella frustrazione, c’è sempre una reazione e non una riflessione. La riflessione esiste quando siete in grado di vedere la situazione sotto una forma diversa, una luce diversa. Per esempio: se qualcuno si lamenta di qualcun altro, potrete subito vedere che quella persona sta parlando spinta dalla gelosia quindi non è il soggetto della lamentela ad essere dalla parte sbagliata ma chi sta criticando.

Il motivo dell’esistenza della riflessione è quello di mantenervi focalizzati su voi stessi e non su cosa vi circonda e influenza. Imparate a utilizzare saggezza e conoscenza per disperdere quella nuvola di ignoranza che vi fa fare le cose sbagliate e accumulare risultati negativi. Se riuscite a diventare consapevoli e a coltivare questo insegnamento fatto di osservazione per poi conoscere, farete quel salto che vi porterà a migliorare la relazione fra voi, la natura e il divino. Scoprirete una connessione e un legame che tiene l’essere umano, la natura e il divino uniti. Nel corso del tempo, questa riflessione diventerà jnana, saggezza, diventerà la realizzazione di “Io sono”. Ed è questa realizzazione che farà scomparire avydia.

lunedì 8 settembre 2014

Lo Yoga per sviluppare la Consapevolezza è per vivere con Consapevolezza

di Swami Anandananda, fondatore e Acharya, Scuola di Yoga Satyananda Ashram, Italia

Tratto da YOGAmag, anno 3, rivista 5, Giugno 2014


Prima di tutto, i miei più sentiti ringraziamenti e il mio rispetto vanno a Sri Paramahamsaji nella forma fisica di Swami Niranjanananda e Swami Satyasangananda.

La Consapevolezza come segno distintivo del Satyananda Yoga
Nel corso degli anni ho potuto riscontrare che uno degli aspetti e degli argomenti più importanti della tradizione dello Yoga Satyananda è l’educazione alla consapevolezza. Quello che rende lo Yoga Satyananda speciale è il fatto che insegna , enfatizza e incoraggia l’uso e l’applicazione della consapevolezza. Se partecipiamo ad una lezione o ad un seminario di Yoga Satyananda o se viviamo in un ashram come Ganga Darshan o Rikhiapeeth, quello che impariamo, che pratichiamo, che  viene stimolato e incoraggiato è lo sviluppo della consapevolezza.
Tutte le pratiche che Swami Satyananda ci ha insegnato, dalle asana al pranayama, dal rilassamento allo yoga nidra, sono tecniche di consapevolezza. Se leggete i 350 e più libri e se ascoltate i numerosi CD di yoga nidra e di pratiche meditative, sentirete moltissime volte la parola “consapevolezza”.
Se partecipate ad una lezione, vi verrà chiesto di diventare consapevoli dal momento in cui entrate nel centro yoga. Non è così importante quello che praticate e come lo fate, ciò che è importante è essere consapevoli. Ci hanno formato per sviluppare ed espandere questa consapevolezza ma, alla fine della lezione, non dobbiamo lasciarla nella sala yoga o sul tappetino. Noi dobbiamo conservarla tutto il tempo. In classe, attraverso le asana e la respirazione, il pranayama, le tecniche di yoga nidra e antar mouna, andiamo a stimolare la consapevolezza. Quando abbiamo finito e torniamo al nostro usuale ritmo quotidiano, dobbiamo mantenere questa consapevolezza. E’ sempre presente e noi dobbiamo conservarla.
Abbiamo sentito parlare di consapevolezza del respiro. Nell’educazione infantile, in una classe di yoga o in ogni altro campo di applicazione dello yoga, la consapevolezza deve rimanere sempre presente.
“Cosa sto facendo?” Questa è la consapevolezza che deve essere presente in ogni momento della nostra giornata.  Io mi rendo conto che questo è il regalo e la componente più importante dello Yoga Satyananda: l’enfasi sulla consapevolezza. Ma che cosa è la consapevolezza?

Che cos’è la consapevolezza?
Visitando diversi paesi, ho avuto l’opportunità di verificare che in molte lingue, non esiste una parola per consapevolezza. A volte, esiste una sola parola per “mente”, “coscienza” e “consapevolezza” e talvolta questo mi ha messo in difficoltà nello spiegare cosa significhi consapevolezza. La risposta mi è arrivata guardando un documentario della BBC nel quale facevano degli esperimenti sulla consapevolezza degli uomini che vivevano in un ambiente metropolitano. La conclusione di questo documentario sviluppato da ricercatori eminenti è stata la seguente: “Possedete gli occhi, gli occhi sono aperti e quindi guardate, ma se non c’è consapevolezza, non vedete”. Da qui deduciamo che la consapevolezza è la differenza fra guardare e vedere, fra sentire ed ascoltare.
Questa è una ricerca formidabile e se Swamiji me lo permette, vorrei condividerla con voi. I ricercatori hanno utilizzato degli attori in una situazione caotica tipo all’uscita di una stazione di treni. Un attore era vestito come un turista smarrito e aveva una macchina fotografica e una cartina. Ad un certo punto, fermava una persona che stava uscendo dalla stazione e gli chiedeva: “Ah, per favore, mi dia qualche direzione”. La persona si fermava per aiutarlo e per dagli informazioni. Mentre stavano parlando, altri due attori vestiti da operai, trascinavano un grande pezzo di compensato e passavano in mezzo a loro. Per due secondi il turista e il passante rimanevano coperti senza potersi vedere mentre i ricercatori sostituivano l’attore che impersonava il turista smarrito con un altro. Il 99% delle volte, la gente continuava a fornire spiegazioni e indicazioni come se nulla fosse successo. Non si rendevano conto che l’uomo alto con gli occhiali e vestito in jeans era stato sostituito con uno basso, grasso e senza occhiali.
I ricercatori in seguito chiedevano se si erano accorti della sostituzione e la risposta era quasi sempre: “Ah…Oh, forse, si, qualcosa”. Ad ogni modo, non si rendevano conto che avevano parlato a due persone diverse. Per i ricercatori, questa è la condizione di chi vive nelle grandi aree metropolitane.

La distrazione
Ieri Swamiji ha detto qualcosa a proposito della parola “distrazione” in latino; “dis” deriva da “distanza” e “trazione” ha la propria radice in “tractus” che significa essere attratti in un’altra direzione.
Questa distrazione non è l’unica. In una condizione, in una situazione metropolitana, il numero di distrazioni è enorme, ce ne sono a migliaia. Se camminate per 500 metri in una grande città, sentirete moltissime cose, vedrete moltissime cose e sarete attratti da moltissime parti e questo influenza la condizione e lo stato di consapevolezza che in questo modo viene sparpagliato producendo come risultato, stress e altri disagi.
Quando andiamo ad una lezione di yoga o in un ashram, ci viene chiesto: “Divenite consapevoli dei vostri piedi, del vostro respiro, del vostro ombelico, divenite consapevoli di quello che state pensando, di quello che state facendo”. Ci chiediamo: “A cosa sto pensando?”. Da questo tipo di consapevolezza, noi cambiamo la nostra condizione da uno stato confuso, dispersivo ad uno stato più centrato e compatto e tutto questo è stato provato.
Recentemente, stavo leggendo un libro interessante sul cervello dove si diceva che è stato scoperto che quando qualcosa viene fatta con consapevolezza, il cervello e la mappa del cervello la registra nell’area appropriata e difficilmente si dimentica, rimane lì, si trasforma in un’esperienza.

Muoversi da una consapevolezza grossolana ad una più sottile
Il modo di usare e applicare la consapevolezza in questo modo è la bandiera principale della tradizione Yoga Satyananda. Sia che riguardi la salute, i ragazzi a scuola,  le prigioni o la realizzazione interiore, quello che usiamo è la consapevolezza e io sono molto grato verso chi mi ha educato ad essere consapevole.
Se praticate e soprattutto se insegnate lo Yoga Satyananda, mettete consapevolezza nelle pratiche, includete sempre la parola “consapevolezza”. Usatelo questo termine. Se praticate yoga, yoga di qualsiasi tradizione, praticate con consapevolezza. Chiedetevi: “Cosa sto facendo? Cosa sto facendo adesso? Che cosa sto sperimentando ora?”. Questo atteggiamento, questo approccio vi tornerà utile anche quando vi chiederete: “Dove sto andando? Da dove provengo? Quale è la mia direzione?”. Questo vi porterà ad essere consapevoli della vostra vita, del vostro dharma, consapevoli di quale è il vostro ruolo, consapevoli di ciò che è appropriato per voi.

Note conclusive
Vorrei concludere con un caso che ho recentemente sperimentato a Ganga Darshan.
Ganga Darshan è il posto più attivo dove viene esercitata la consapevolezza e questo avviene a molti livelli. Nei bagni, vicino agli specchi, c’è una foto di Swami Sivananda e sotto c’è una frase che dice: “Preservate l’acqua, ogni singola goccia di acqua è preziosa”. Quando lo leggo dico: “Oh. Bello. Bene, molto bene”. Poi velocemente apro il rubinetto, mi lavo le mani e lo chiudo subito ricordandomi “Non sperperare l’acqua, l’acqua è preziosa”. Poi esco dal bagno e dopo alcune ore, quando mi trovo alla cisterna dell’acqua potabile, la verso nel bicchiere e la bevo. Sento che sono ancora assetato e ne verso ancora un po’, faccio due, tre sorsi e un po’ di acqua rimane nel bicchiere. Istintivamente, mi viene da gettarla via ma il mio braccio si blocca e la rimetto nella cisterna realizzando che preservare l’acqua non riguarda solo quella del bagno. Perché dovrei buttare quest’acqua adesso?
Lo stesso avviene a lezione, perché dovrei essere consapevole solo durante la lezione e poi quando finisco non esserlo più? Quello che mi è successo con l’acqua mi ha reso più consapevole e mi ha fornito un ulteriore spunto educativo.
Sono sicuro che chiunque si trovi qui per la prima volta, alla Convention e al Golden Jubilee, sia stato educato in ogni area e aspetto ma non siamo solo stati educati, noi siamo anche scienziati. Come è stato già detto da altri oratori, noi siamo i ricercatori e anche il laboratorio. Noi siamo gli studenti e gli scienziati.
Grazie, grazie molto. Grazie Paramahamsaji, grazie Swami Niranjanananda, grazie Swami Satsangi.


25 Ottobre 2013, Polo Ground, Munger