(seconda parte del post Il mio guru, Swami Sivananda)
E lui aprì la porta
Feci moltissime esperienze con Swami
Sivananda. Vi racconto solo questo episodio. In Ashram c’era un servitore, un giovane
arrogante. Vi era la regola, in ashram, che dopo il pasto, ogni residente e
ospite avrebbe dovuto prendere il proprio piatto e lavarlo sulle rive del fiume
Gange. C'era un vecchio swami, il quale dopo aver concluso il suo pasto, lasciò
il piatto in cucina da lavare. Gli dissi: "Lascialo pure lì, lo farò
lavare." Sapevo che lui non poteva andare giù al Gange.
Khushiram, il giovane servitore, che stava
lavando altre grosse stoviglie si arrabbiò: “Non voglio piatti qui. Buttalo
via”. Così gettò via il piatto e io gli dissi: “Esci, abbandona l’ashram”.
Questa era la mia natura. Avevo considerato solo la mia reazione e non avevo considerato
che anche lui fosse un uomo. Ero un uomo forte, per cui quando gli dissi di
lasciare l’ashram, egli dovette lasciare l’ashram. Ad ogni modo poi qualcuno
gli disse di andare da Swami Sivananda per congedarsi da lui. Questa era la
tradizione.
La sera, quando Swamiji uscì, Khushiram
toccò i suoi piedi e gli disse: "Swamiji, sto andando via. Swami
Satyananda mi ha ordinato di lasciare l'ashram." Swamiji non mi chiamò,
aveva capito tutto, perché Swamiji era un uomo scaltro e intelligente. Swamiji
accolse Khushiram nella sua cucina personale e lo tenne lì.
Questa decisione fu un’ offesa per me. Era
un’ offesa recata dal mio Guru nei miei confronti. Egli tenne questo giovane al
suo servizio personale – nel luogo dove mi sarei dovuto recare ogni giorno - sapendo
che io gli avevo detto di lasciare l’ashram; lo avrei dunque incontrato alla
porta di Swamiji. Questo episodio fu così offensivo per me, che mi disturbò
parecchio.
Tutti i principi dello Yoga di cui
parlavo: la mente conscia, inconscia, super conscia…tutto era distrutto. Tutti
gli stati mentali erano nel caos, tutte le emozioni erano in uno stato
confusionale. Tutto ciò che avevo pensato, tutte le filosofie che avevo
predicato, tutto ciò che era nella mia mente era in uno stato confusionale.
Perciò dissi: "Lascerò l'ashram e me ne andrò".
Poi
pensai “Ricevi una piccola offesa dal tuo Guru e desideri lasciare l’ashram e
andare via. Se non riesci neanche ad osservare e comprendere l’atteggiamento “offensivo”
del tuo Guru, cosa sei qui a fare? E perché dici che egli è il tuo Guru?. Digli
piuttosto: io sono un lavoratore, quindi per favore comportati meglio con me da
oggi. Puoi non pagarmi con i soldi, ma dammi del cibo. Voglio servire
l’istituto, ma non voglio essere tuo discepolo e non voglio che tu sia il mio
Guru”. Posso al contrario affermare che egli è il mio Guru, la mia vita, il mio
prana, ogni cosa, ma non appena mi mette alla prova fallisco.
Non riuscivo a ricordare. Feci così tanti progetti che non riuscii a dormire
tutta la notte. Ero diventato niente meno che segretario dell'ashram e non un membro
ordinario qualsiasi. Avevo tutte le chiavi dell’ashram, gestivo i contanti, le
banche e tutto il resto, e pensai che questa offesa fosse per me come la morte.
La mattina successiva esitai ad andare nel bungalow di Swamiji, perché
ero molto arrabbiato. Avevo mandato via il servitore che continuava a restare
lì e a dirmi: "Ah! Così mi hai mandato via”. Sarebbe stata una guerra tacita, segreta, tra lui e me.
Allora, non riuscii a capire. Adesso capisco, perché vedo la realtà in modo
distaccato. I miei discepoli non capiscono perché non hanno ancora la lucidità.
Oggi nel mio ashram mi preoccupo di mettere alla prova i miei discepoli. Li ho
messi già una volta alla prova e sono stato messo a mia volta alla prova.
La mattina successiva, si presentò Swamiji alla porta, non il servitore.
Aprì il cancello e disse: "Hari Om, Namo Narayana.". Io dissi: "Oh
sì, tu sai cosa sta accadendo alla mia mente." Mi fece entrare e osservò
le mie carte, e tutto ciò che dovevo mostrargli. Non disse nulla inizialmente,
poi aggiunse: "Hai apprezzato che io abbia aperto la porta per te? …Mi
venne un colpo ! …”.
Dissi: "Hai dovuto aprire la porta, altrimenti chi lo avrebbe
fatto?". Gli dissi ciò che pensavo. Non volevo che fosse il servitore ad
aprire la porta; questo era il punto. Ma il punto successivo era che egli era il
Guru ed è il Guru che deve aprire la porta, la porta che conduce alla luce. Allora
egli disse: "Hai apprezzato quando ho aperto la porta?" lo disse
ancora ed io gli risposi, "Dopo tutto, sei tu che devi aprire la
porta."
Iniziazione
Nel 1946 ero fisicamente stanco. Ebbi un attacco di itterizia, diarrea,
dissenteria, febbre tifoide o paratifo, non ho mai saputo che cosa fosse perché
non ho mai consultato un dottore. Non c’erano dottori, non c’erano medicine,
non c’era niente. Sapevo che non stavo bene, avevo ancora energia ma
fisicamente ero ridotto uno scheletro.
Avrei invece preferito lavorare a casa mia.
Avevo tantissime terre, possedimenti e su di esse molto bestiame, bufali, pony.
Maya mi circondava completamente donandomi il meglio di se.
Così scrissi una lettera a un mio amico che si trovava a Lahore, questo
accadde prima della Partizione (dal
Pakistan avvenuta nel 1947 ndt); rispose che si stava organizzando per
trovarmi un posto come sostituto dell’editore nella rivista Tribune. Dopo
qualche giorno arrivò la lettera dell’incarico alla quale risposi dicendo “non
ho soldi”, egli allora mi inviò quattrocento rupie. Mi sono fatto fare dei
vestiti, cappotto, pantaloni, cravatta, tutto. Questo swami pazzerello!
Quando tutto fu pronto, andai da Swamiji e gli dissi: “me ne vado penso
di voler tornare indietro”. Egli rispose, non ricordo esattamente cosa, e mi
disse: “Okay, l’8 settembre avrà luogo la celebrazione del mio Giubileo di
diamante, puoi lavorare qui fino ad allora, dopo di che puoi andare”. Gli
risposi: “Okay, altri due mesi”.
Non ho mai saputo che in verità lui stava cercando di circondarmi su
tutti i fronti, così rimasi. L’8 settembre era il suo compleanno. Tra il 9 e il
10 i visitatori se ne andarono e l’11 egli mi chiamò e mi disse: “tu verrai qui
domani mattina e prenderai il sannyasa”; un fulmine a ciel sereno! Non sapevo
cosa dire. Mi disse: “domattina alle sette prenderai il sannyasa ed eliminerai
tutti i tuoi attaccamenti, impegni e obblighi verso gli aspetti inferiori della
vita”. Gli risposi: “va bene” e di nuovo la mia mente si fermò.
Dimenticai tutto quello che riguardava il Tribune, dimenticai ogni cosa.
La mia mente era vuota, non dormii per tutta la notte, ripetei il mio mantra
che ai tempi era il Gayatri; mentre aspettavo che arrivasse il mattino ero
molto ansioso, fu per me una notte molto lunga.
Mi alzai alle due, alle tre, alle sei; stavo aspettando quando
improvvisamente qualcosa nella mia mente cambiò. Alle sette andai da lui ed
egli chiamò un barbiere che mi rasò. Ero già rasato ma avevo lasciato un ciuffo
di capelli su bindu, una piccola manifestazione del mio ego, quando anche
questo ciuffo fu tagliato. Mi diede un piccolo langoti, una piccola fascia di
stoffa, un dhoti e portò via il mio janeu, il filo sacro.
Mi disse: “In questa vita, oltre la vita, dopo la vita – ovunque ti
trovi, in un bar a bere un ponce, in compagnia di donne o tra prostitute, non
rinunciare mai al geru”. Quello era un sankalpa, un ordine che mi diede. “Non
importa cosa fai, non mi interessa, il Geru ora è la tua pelle”, quello è il
motivo per il quale amo il geru così tanto.
Da solo
Per tre anni, dal 1953 al 1955, egli lasciò che io smettessi di lavorare
in ashram e mi dedicassi unicamente allo studio. Durante quel periodo mi concentrai
completamente sullo studio degli shastra, giorno e notte – dai Rig Veda fino ai
libri dell’età di Gandhi – ogni tipo di religione, in sanscrito, hindi,
inglese, qualsiasi cosa. Mi mandò per un anno a Gujarat e Samashtra e mi volle
con sè durante il suo tour di tre mesi per l’India, affinchè potessi avere
un’idea delle persone.
Nel 1956 non ero in forma. Un giorno Swamiji mi chiamò, in quel periodo
egli sentiva che l’ashram non era il posto giusto dove io mi sarei potuto
esprimere liberamente, sapeva che avevo una mia filosofia sia nel lavoro che
nella vita. Mi disse: “l’ashram per te è troppo piccolo, il tuo destino è
importante”. Mi diede centootto rupie, che non ho speso e porto ancora con me
nella mia borsa, per me sono molto preziose e le tengo sigillate. Mi disse:
“prendi quello che ti piace dall’ashram ma sarebbe meglio che tu andassi con
meno cose possibili”.
Mi disse: “Ci sono cose che le persone non conoscono e che noi non insegniamo
loro perché non sono ancora pronte. Esse vogliono conoscere solamente qualche
asana o qualche tecnica di pranayama. Molte persone sono spaventate dallo yoga
e quindi non insegno yoga più di tanto”. Così mi ha insegnato il kriya yoga. Mi
ci sono voluti solo cinque minuti perché conoscevo già i kriya del kriya yoga.
Lasciai l’ashram il 19 marzo del 1956, la stessa data in cui ero
arrivato. Ho vagato ovunque, in quel periodo ero completamente avverso alle
istituzioni – niente ashram, niente discepoli, niente soldi. Ho fatto la vita
del mendicante, volevo solo essere libero. Se volevo fumare nessuno doveva
dirmi “perché un sadhu fuma?”. Se volevo bere, nessuno doveva dirmi “perché
bevi?”, io mi faccio gli affari miei, voi fatevi gli affari vostri.
La società è un organismo ben collegato che le persone devono seguire,
indipendentemente dal fatto che sia giusto o sbagliato. Nessuno può dire che
tutto quello che la società ha deciso sia giusto; le regole della società si
sono costituite in modo automatico. A volte sono state create da persone
affette da falsa vanità, per questo ogni tanto si sente la necessità di voler
vivere in modo libero. Se voglio chiudere gli occhi per cinque ore, che
interesse avrà mia moglie o mia madre per chiedermi: “che cosa ti sta
succedendo? Stai impazzendo?”; si, sto impazzendo, se non ti va bene puoi
andartene.
Anche oggi ovunque vada non vivo mai con i familiari perché dovrei dire:
“si, va tutto bene”. Mi piace vivere in qualsiasi altro luogo, dove posso
dormire quando mi piace, posso russare quanto mi piace, posso fare il bagno,
posso cantare, posso piangere, posso dormire per terra. Ho vissuto in questo
modo per alcuni anni.
Alla fine sono tornato a Munger e quello fu l’inizio di un’epoca, il
posto era bellissimo. Il 13 luglio del 1963 ho avuto un risveglio interiore,
ricevetti un messaggio, da quel momento tutto ebbe inizio. Vi ho parlato di
molte esperienze e potrei andare avanti e avanti…
Sivanandashram, Munger, 16 ottobre
1982
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