sabato 10 ottobre 2015

NON MOKSHA MA EQUILIBRIO – Lo yoga di Swami Sivananda

di Swami Niranjanananda Saraswati

26 July 2014, Swabhoomi Rangamanch, Kolkata, India
(tratto da ultimo numero di YOGAMAG)

La tradizione della Bihar School of Yoga inizia circa 80 anni fa con il nostro guru Swami Sivananda, che è uno fra i più grandi santi dello scorso secolo. L’ashram di Swami Sivananda a Rishikesh è conosciuto come la Divine Life Society.

Yoga per tutti

Il tipo di yoga che Swami Sivananda ha proposto ai suoi discepoli nasceva da una grande motivazione. Per i sannyasin, la filosofia personale e i principi delle loro vite si basano sul Vedanta. Come sannyasin, apparteniamo alla tradizione di Shankaracharya e la filosofia che seguiamo è quella del Vedanta. Questo offre una direzione specifica alle nostre vite e traccia le linee sulle quali ci basiamo.
Swami Sivananda credeva che i sannyasin dovessero inglobare e vivere la filosofia del Vedanta. La filosofia di una persona fa parte della sua vita privata ma, allo stesso tempo, il comportamento e l’interazione dovrebbero essere appropriate alle norme della società e della famiglia.
Quando la vita è in equilibrio con la società e la propria famiglia, uno si trova nella condizione di risvegliare la propria consapevolezza spirituale ed è così che la vita diventa bella e completa.
Swami Sivananda ha detto che lo yoga porta disciplina nella vita di ognuno. Un sannyasin può certamente vivere la propria vita sui principi del Vedanta ma ha bisogno dello yoga per purificare il corpo, la mente e le emozioni per poi sviluppare il proprio potenziale creativo. Lo yoga non è destinato solo ai sannyasin ma è necessario a tutti i membri della società. Attraverso lo yoga si può risvegliare la creatività. Lo scopo dello yoga è di dare fiducia a chi desidera tale risveglio.

Il vero bisogno

Swami Sivananda era uno scienziato. Come medico, conosceva bene sia il corpo che la mente. Quando diventò un sannyasin, sviluppò una profonda conoscenza della spiritualità. Nella nostra tradizione, si dice che fino a quando uno vive nel mondo, il corpo è il mezzo e lo strumento attraverso il quale si può lavorare, fare testa alle proprie responsabilità e vivere il proprio dharma per realizzare al massimo il karma personale.
Questa era la visione che Swami Sivananda ha portato avanti per circa 80 anni. Lo Swami credeva che ogni individuo dovesse fare uno sforzo per crescere spiritualmente ed essere illuminato. I sadhu e i santi dicono che lo scopo della vita è l’illuminazione spirituale e la realizzazione divina anche quando questo non è un bisogno essenziale della propria vita.
Swami Sivananda chiarisce questo fatto con una illustrazione: un uomo cieco ha un profondo desiderio di vedere il sole, ma non è assolutamente necessario per lui vedere il sole, è solo un desiderio. Il bisogno di un cieco è di avere l’abilità di vedere, di avere una visione e quando riesce ad ottenere questa possibilità, è in grado di vedere l’intero creato fatto dal sole.
Questo è il principio di Swami Sivananda. I rishi, i muni e i mahatma sostengono che la realizzazione divina è lo scopo dell’intera esistenza ma questa è una delusione come per l’uomo cieco è quella di vedere il sole. Il bisogno reale non è la realizzazione divina ma quello di gestire bene la propria vita e avere la possibilità di esprimere il proprio potenziale creativo per ottenere pace, abbondanza e prosperità. Quando l’individuo arriva a questo stato di pace e calma dove si sente che non manca nulla, solo allora la sua mente potrà affrontare il viaggio successivo.
Se una persona soffre di asma e le viene detto:”Ascolta amico mio, tu non sei questo corpo, tu sei l’anima immortale”, ecco che questa persona non vi ascolterà. Quando qualcuno soffre di asma, non ha bisogno di ascoltare della filosofia ma ha bisogno di un aiuto concreto, un insegnamento pratico in modo da rimettersi in forma e stare bene. Una volta che avrà ottenuto una salute migliore, per lui sarà anche possibile affrontare nuove questioni. E’ per questo motivo che lo yoga è per il benessere fisico, mentale, emozionale e poi anche per il risveglio spirituale.

La necessità dell’equilibrio

Swami Sivananda afferma che ogni individuo è una combinazione delle facoltà di testa, cuore e mani. Queste tre facoltà devono essere coltivate, risvegliate e nutrite. La facoltà della testa è l’intelligenza, l’abilità di pensare. La facoltà del cuore si riferisce alla sensibilità emotiva e la facoltà delle mani all’espressione creativa dell’individuo.
Se uno analizza la propria vita, diventa chiaro che ogni volta che ha affrontato degli ostacoli e delle difficoltà il problema è sempre stato nell’ambito di queste tre facoltà, sia che la fonte sia emotiva o che non si è stati in grado di usare la propria intelligenza in modo corretto. Se uno non possiede la capacità di analisi, di comprensione, di chiarezza mentale, sarà molto difficile lavorare tanto che la mente sarà sottosopra per i problemi e per gli sforzi. Se uno non ha la stabilità emotiva, sarà subito travolto da ogni fluttuazione dell’ambiente che lo circonda. Le emozioni debilitanti come la rabbia, la paura, il disappunto, la gelosia, la repulsione, l’odio e la competizione si faranno vive e daranno vita ad un ciclo senza fine che creerà solamente ulteriori disturbi alla mente. Quando non c’è chiarezza o equilibrio nelle emozioni o nell’intelletto, diventerà difficile portare a termine qualsiasi tipo di lavoro nonostante si possano avere anche le competenze necessarie.
Se desiderate sintonizzarvi con il sentiero del progresso, queste tre condizioni, pensieri, emozioni e azioni, devono essere comprese bene e poi bilanciate. Swami Sivananda ha fatto dello yoga il mezzo o il supporto per raggiungere questo stato e quindi non ha mai detto che il fine dello yoga è moksha. Lui ha visto lo yoga come la possibilità per ottenere la capacità espressiva della vita al massimo.




giovedì 1 ottobre 2015

Il distacco è diverso dalla rinuncia

di  Swami Satyasangananda Saraswati


tratto da
http://www.yogamag.net/archives/2006/ajan06/det.shtml



Per essere distaccati, occorre rinunciare a tutto?


Spesso immaginiamo che una persona distaccata sia indifferente verso chi gli sta intorno e indisposta verso le cose che gli ricordano ciò a cui ha rinunciato. Questo non è vero. Il distacco è possibile solo per coloro che rimangono inalterati o indisturbati da ogni situazione della vita. Solo coloro i quali sono in grado di mantenere l’equilibrio di fronte al successo ed al fallimento, all'amore e all'odio, al dolore e al piacere, sono veramente indipendenti.

Con l’attaccamento nasce la dipendenza nei confronti dell'oggetto del vostro attaccamento e con la dipendenza sopraggiunge anche la schiavitù. Se l’oggetto dell’attaccamento è fuori dalla vostra portata, diverrete infelici e bramosi. Se poi riuscirete a possederlo, sarete nel costante timore di perderlo. In tal modo, la vostra libertà di espressione, i vostri modelli di comportamento e di vedere la vita diverranno limitati.

Con l’attaccamento l'idea del possesso, dell’appartenere - la mia casa, la mia macchina, la mia famiglia, la mia ricchezza  si rafforza. Questo senso di appartenenza è un risultato dell'ego inferiore. Con ogni nuovo possesso il vostro ego sarà rafforzato e lo diventerà sempre di più fino a quando i beni posseduti inizieranno a dominare e controllare la vostra vita.

Immaginate un uomo enorme incatenato al suolo che, sembra, non abbia una via di fuga. Questo è il modo in cui stiamo incatenati agli oggetti del nostro attaccamento!
Il distacco, invece, sviluppa libertà di pensiero, parola e azione. Vi libera dalle catene che vi legano ad un livello ordinario di consapevolezza. Colui che è libero dagli attaccamenti può godere di ogni piacere della vita, acquisire benessere, creare una famiglia che ama, mantenere sotto controllo la propria attività lavorativa per quanto impegnativa essa sia: difficilmente ne sarà soggiogato! Egli riuscirà a godere di tutto, ma come padrone e non come schiavo. Grazie al distacco, è possibile sviluppare una libertà interiore o indipendenza, che nulla può intaccare. Nessuna avversità può colpire chi è libero dagli attaccamenti, e nessun successo, per quanto immenso, lo può influenzare, perché egli ha sviluppato l’equanimità. Questo è il modo per diventare padroni di sé stessi in ogni situazione.

Il distacco deve essere inteso come la capacità di rimanere inalterati a fronte alle prove e alle tribolazioni della vita. Con il distacco si realizza un immenso senso di amore e di unità con ciò che ci circonda. Si comprenderà che in passato si è amato perché si era dipendenti dall’oggetto dell’amore ed era solo tale dipendenza a determinare la propria felicità. E così, si è smesso di amare. Tuttavia, con il distacco, realizzerete che l'amore che non è vincolato o limitato dalle proprie simpatie o antipatie, né tantomeno da bramosie o ambizione. L'amore è privo di motivi personali.

Il guru è un’espressione dello spirito universale. Sebbene il guru ami tutti allo stesso modo, egli è veramente distaccato, indipendente dai fattori esterni o interni che dominano gli esseri umani. Per il guru, santo o peccatore, ricco o povero, istruito o stupido, bello o brutto, sono tutti uguali!

Sebbene il distacco sia uno processo spontaneo di sviluppo interiore, i karma Sannyasins possono implementarlo nella loro vita sviluppando dapprima proprio l’attaccamento. E' solo dopo aver sviluppato un attaccamento universale a tutto ciò che vi circonda che si inizierà a sperimentare il distacco interiore.

Come pubblicato dal “Times of India”, September 22nd, 2005