lunedì 14 luglio 2014

L’evoluzione di Swami Satyasangananda Saraswati

Harrogate, England, 18 luglio 2009
Swami Satyasangananda Saraswati 


Swami Satyananda ha creato un vasto impero a Munger e ha viaggiato in tutto il mondo. Aveva milioni di amici e devoti, simpatizzanti e ammiratori che aspettavano solo un cenno da parte sua e invece ad un certo punto ha lasciato tutto e se ne è andato dicendo “tutto questo non è mio”. Quando ha lasciato Munger nel 1988 non aveva idea di cosa fosse il concetto di proprietà.
I sannyasa non lasciano le loro case per portare avanti un ashram, per far discepoli, diventare famosi e proporre letture. Swami Sivananda lo chiese a Swami Satyananda ed è per questo che lui lo fece ma quando il lavoro a lui richiesto fu completato, decise che era arrivato il momento di continuare il cammino intrapreso quando decise di lasciare casa sua, il cammino verso la realizzazione di sé. L’unico impegno che i sannyasa hanno è quello di onorare il loro impegno. Swami Sivananda chiese a Swami Satyananda di diffondere lo yoga e così lui fece.
Questa è la tradizione a cui noi sannyasa apparteniamo e questi sono gli ideali che dobbiamo seguire. Non possiamo essere direttori, costruttori o insegnanti per tutta la vita, dobbiamo crescere ed esplorare nuove possibilità. Questa è la necessità e il modo in cui i sannyasa devono vivere la loro vita.
Poi, un giorno, lasceremo anche tutto questo proprio come Swamiji lasciò le istituzioni. Lui si trovava su un piano universale, lavorava per il benessere universale dell’uomo. Quando un santo o un sadhu o un sannyasa si applicano nella meditazione, tutto l’ambiente ne trae vantaggio perché sta incrementando il livello di sattwa nell’ambiente stesso. E’ sattwa che sostiene l’universo, non il tamas o il rajas. Se il sattwa scompare, l’intero universo sparisce.