Harrogate, England, 18
luglio 2009
Swami Satyasangananda Saraswati
Swami
Satyananda ha creato un vasto impero a Munger e ha viaggiato in tutto il mondo.
Aveva milioni di amici e devoti, simpatizzanti e ammiratori che aspettavano
solo un cenno da parte sua e invece ad un certo punto ha lasciato tutto e se ne
è andato dicendo “tutto questo non è mio”. Quando ha lasciato Munger nel 1988
non aveva idea di cosa fosse il concetto di proprietà.
I
sannyasa non lasciano le loro case per portare avanti un ashram, per far
discepoli, diventare famosi e proporre letture. Swami Sivananda lo chiese a
Swami Satyananda ed è per questo che lui lo fece ma quando il lavoro a lui
richiesto fu completato, decise che era arrivato il momento di continuare il
cammino intrapreso quando decise di lasciare casa sua, il cammino verso la
realizzazione di sé. L’unico impegno che i sannyasa hanno è quello di onorare
il loro impegno. Swami Sivananda chiese a Swami Satyananda di diffondere lo
yoga e così lui fece.
Questa
è la tradizione a cui noi sannyasa apparteniamo e questi sono gli ideali che
dobbiamo seguire. Non possiamo essere direttori, costruttori o insegnanti per
tutta la vita, dobbiamo crescere ed esplorare nuove possibilità. Questa è la
necessità e il modo in cui i sannyasa devono vivere la loro vita.
Poi,
un giorno, lasceremo anche tutto questo proprio come Swamiji lasciò le
istituzioni. Lui si trovava su un piano universale, lavorava per il benessere
universale dell’uomo. Quando un santo o un sadhu o un sannyasa si applicano
nella meditazione, tutto l’ambiente ne trae vantaggio perché sta incrementando
il livello di sattwa nell’ambiente stesso. E’ sattwa che sostiene l’universo,
non il tamas o il rajas. Se il sattwa scompare, l’intero universo sparisce.