Quando praticate da soli non è necessario ricordare i nomi
in sanscrito delle asana, però è opportuno comprenderli.
Prendete, per esempio, la posizione del cobra. In sanscrito
questa è detta Bhujangasana e noi la
traduciamo come “cobra”. Ma il nome sanscrito è una combinazione dei mantra Bhu, Jan,
Gata e ciascuna sillaba, ciascuna
parola ha una particolare conseguenza sui nostri chakra.
Un tempo i nomi in sanscrito giocavano un ruolo molto
importante nell’antico metodo dello yoga. Gli yogi erano in grado di avvertire
il problema del paziente e metterlo in relazione a un chakra specifico.
Per esempio, la cattiva digestione è collegata a Manipura;
il che è quanto ci dice oggi il senso comune. Lo yogi era in grado di percepire
che quel particolare chakra era colpito da una malattia, un malessere, una
condizione del corpo e della mente. Quindi, prescrivendo Bhujangasana lo yogi
avrebbe istantaneamente dato al paziente, e anche agli insegnanti, l’idea che
quella particolare postura aveva a che fare con il risveglio e il riequilibrio
di alcuni centri psichici più e meno importanti. Così i nomi in sanscrito hanno
giocato un ruolo importante nella terapia antica.
Ovviamente con l’avvento della scienza siamo stati in grado
di raffinare il sistema di osservazione e di trattamento della malattia, ma i
nomi in sanscrito sono stati mantenuti e cerchiamo di mantenerli il più
possibile. Così è un bene avere una comprensione dei nomi e del loro
significato.
Non sto parlando affatto della traduzione di chakra con “ruota”
o di dhanur con “arco”; sto parlando piuttosto della relazione con i chakra.
Questo metodo è molto semplice. Tutto quello che vi serve è un dizionario dei
chakra che mostri quale mantra appartiene a uno specifico chakra.
In qualunque testo sulla kundalini potete trovare i bija
mantra nei petali del chakra. Così potete dire Bhu, Jan, Ga: Bhu
è Anahata, Jan è Manipura, Ga Vishuddi.
Dunque sperimentate in modo naturale e spontaneo che questa specifica postura agisce su questi particolari chakra. Perciò usiamo i nomi in sanscrito sebbene si tratti di una lingua morta.
Dunque sperimentate in modo naturale e spontaneo che questa specifica postura agisce su questi particolari chakra. Perciò usiamo i nomi in sanscrito sebbene si tratti di una lingua morta.
Uno studente, un Indiano che viveva in Europa, era venuto in
ashram e gli ho chiesto:
“Di cosa ti occupi in Europa?”.
“Sto studiando il latino”.
“A che scopo? E quali altre lingue conosci? Il francese, il tedesco, l’italiano, lo spagnolo, l’inglese?”
“No, no, no, sto solo studiando il latino”.
“Sì, ma il latino è una lingua morta, nessuno la parla più”, gli ho fatto notare.
E lui: “Oh, ma io sto imparando a fare il becchino. Sto imparando il latino, così posso parlare con i morti!”
“Di cosa ti occupi in Europa?”.
“Sto studiando il latino”.
“A che scopo? E quali altre lingue conosci? Il francese, il tedesco, l’italiano, lo spagnolo, l’inglese?”
“No, no, no, sto solo studiando il latino”.
“Sì, ma il latino è una lingua morta, nessuno la parla più”, gli ho fatto notare.
E lui: “Oh, ma io sto imparando a fare il becchino. Sto imparando il latino, così posso parlare con i morti!”
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