lunedì 16 dicembre 2013

Brahmacharya



Tratto da Yama, Niyama, Brahmacharya
Dr. Swami Shankardevananda Saraswati MB, BS (Syd)


Il concetto di brahmacharya è uno dei meno compresi nell’ambito degli yama e niyama. Si dice che la continenza doni virya, coraggio e forza irriducibili ma si pensa anche che si riferisca al celibato o all’astinenza assoluta dal pensiero e dalla pratica sessuale.  Anche se l’astinenza sessuale è un aspetto maggioritario del brahmacharya, ne è solo una parte ed è una delle cose più difficili da controllare. Si potrebbe definire come la porta che conduce al controllo dei sensi perché la sua padronanza facilita il controllo delle altre attività sensuali che ci permette di entrare nel territorio del pratyahara, il ritiro dei sensi.
Brahmacharya è soprattutto un atteggiamento mentale nei confronti degli aspetti sensuali; il suo significato letterale è quello di rivolgere la mente verso l‘assoluto e di conseguenza allontanarla dall’indulgenza sensuale. Questo stato implica che, nello stato perfetto, quando siamo assorti nella coscienza più alta, la beatitudine e la conoscenza spazzeranno via il desiderio di attività sessuali e sensuali in quanto sperimenteremo uno stato di maggiore appagamento.
Sri Nisargadatta Maharaj ha riassunto lo stato di brahmacharya quando ha detto:”Il mio mondo è come il tuo. Io vedo, sento, penso, parlo e agisco in un mondo che percepisco come te. Ma per te è tutto, per me, è quasi niente…la realizzazione, il piacere e il dolore hanno perso la loro influenza su di me. Mi sono liberato dal desiderio e dalla paura. Mi sono ritrovato pieno, bisognoso di niente”.
Questo stato è libero dal bisogno di indulgere sensualmente. Sulla strada verso questo stato la pratica dell’astinenza sessuale è necessaria in modo che la mente non sia continuamente distratta dal pensiero del cibo, del sesso e da altri piaceri; in questa maniera potremo essere più consapevoli del nostro appagamento interiore. Tutto ciò non significa che non dobbiamo assecondare i nostri bisogni sensuali ma non dovremmo lasciarci prendere dal senso di colpa e dalle reazioni di uno stato mentale negativo. Se questo si manifesta, è molto meglio assecondare le richieste del corpo. 

Il pericolo della repressione

Molte persone soffrono inutilmente nel tentativo di padroneggiare brahmacharya. L’attività sessuale è molto potente, è un bisogno biologico al quale sono legate le emozioni più forti. I buddisti dicono che l’istinto sessuale è attivo prima della concezione e della nascita e che determini la selezione dei futuri genitori e del genere durante lo sviluppo embrionale. Ogni tentativo di dominarlo richiede coraggio e determinazione. Si dice sia una forza talmente potente che tentare di padroneggiarla possa essere come attaccarsi alla coda di una tigre.
Un’altra sofferenza inutile è quella legata ai sensi di colpa, alle nevrosi e ai complessi che riguardano l’energia sessuale. Chi si sente in colpa ogni volta che ha un pensiero sessuale, chi ha paura di diventare debole a causa dell’emissione di seme, può trovare sollievo nell’idealizzare ciò che brahmacharya immagini che sia. Ma, se il desiderio ardente sussiste, questo interferirà con i sistemi ormonale e nervoso e causerà risposte fisiche che non saremo in grado di fermare o reprimere in quanto ogni tentativo a tal riguardo tenderà ad indebolire lo stesso sistema nervoso e genererebbe un circolo vizioso di sbilanciamento mentale, malattia, psicosi che alla fine sarà impossibile gestire.

Primi passi nel brahmacharya

I primi passi nel brahmacharya andrebbero fatti una volta consolidate le pratiche di base previste da asana, pranayama , tecniche meditative, di concentrazione e di rilassamento.
Asana e pranayama rilassano il sistema nervoso e riducono l’eccitazione sessuale permettendoci di migliorare il controllo di nadi e nervi ottenuto attraverso le pratiche meditative. Meditazioni semplici come yoga nidra per il rilassamento, antar mouna per sviluppare il distacco e la capacità del testimone, disinnescano la risposta emozionale del pensiero. In questo modo, noi penseremo con la corteccia frontale del cervello senza coinvolgere l’emotività nel sistema limbico e di conseguenza non stimoleremo l’attività del sistema nervoso autonomo o delle ghiandole endocrine. In pratica potremo pensare a ciò che vogliamo senza esserne coinvolti.
La formula di base del brahmacharya è: lavora duro, mangia di meno, dormi di meno.
Anche se Freud ha detto che una filosofia del genere lavora sulla sublimazione del desiderio sessuale verso altri scopi creativi, c’è molto di più. Lavorare sodo significa usare la propria energia in modo da essere così stanchi da fare qualsiasi altra cosa, le nostre menti risulteranno così impegnate da problemi, responsabilità e pensieri che non penseranno più all’attività sessuale.
Questo non è abbastanza per il brahmacharya perché molte persone pensano che se devono lavorare duro devono anche sostenersi mangiando molte proteine e cibi ricchi di grassi ma, così facendo, aumentano il loro bisogno sessuale invece di ridurlo.
Il cibo è una parte molto importante del brahmacharya essendo il cibo stesso una fonte primaria per la soddisfazione dei piaceri sensuali che accende allo stesso tempo il fuoco del desiderio sessuale. Nel brahmacharya, il cibo deve essere insipido, libero da stimolanti come te e caffè, aglio, cipolla e spezie di vario genere. La dieta deve contenere poche proteine soprattutto derivate da carne, pesce e prodotti caseari. La ghiandola pituitaria richiede proteine e vitamine E e B per la produzione di ormoni quindi se mangiamo meno proteine produrremo meno ormoni e le proteine assimilate saranno usate per i bisogni più necessari.
La dieta di uno yogi è più ricca di carboidrati che grassi e proteine soprattutto sotto forma di cereali integrali. Questo stimola nel cervello il rilascio di serotonina che quando entra in circolo riduce l’eccitazione sessuale favorendo stati simili a quando sogniamo e forse favorendo anche l’esperienza visionaria interna.
Una dieta simile non ferma l’attività sessuale ma riduce gli effetti che questa esercita sulla mente.  La dieta non è tutto e va combinata con altre pratiche di yoga e con la consapevolezza di cosa sia lo scopo della disciplina. Tutto ciò va bilanciato con il celibato che non è fine a se stesso ma uno strumento per ridurre le distrazioni che ci allontanano dall’obiettivo finale.
L’attività sessuale non è un peccato.
Gli yama e niyama, quando si basano su pratiche yogiche ben sviluppate, diventano promemoria dai quali possiamo attingere equilibrio ogni volta che la mente attraversa crisi, desideri, passioni, emozioni intense, odio e così via. Tutti gli aspetti devono essere approcciati con la consapevolezza dei nostri limiti e dobbiamo sempre ricordare che anche se falliremo molte volte, con la costanza, avremo successo.
Il fine ultimo degli yama e niyama non è quello di imporre un sistema etico e morale che renderebbe la vita noiosa e tediosa e le nostre menti rigide ma quello di affievolire il potere delle nostre passioni in modo da canalizzare l’energia nel risveglio della kundalini e verso una coscienza superiore.
A quel punto yama e niyama si trasformeranno da una forma di sadhana in una realizzazione che aprirà le porte verso la libertà e la gioia.



giovedì 5 dicembre 2013

Mahasamadhi

Tratto da “Sannyasa  -Cultivating Spiritual Awareness-“  di Swami Niranjanananda Saraswati

Il 5 dicembre del 2009, il nostro guru, Sri Swami Satyananda Saraswati, è entrato in mahasamadhi.
Il 2 dicembre si era appena conclusa la cerimonia di Yoga Purnima dove Sri Swamiji aveva detto che stava ancora aspettando il suo biglietto di ritorno e che non se ne sarebbe andato fino a quando non gli fosse stato garantito.
Tre giorni dopo, alle 10.30 di notte, chiamò Swami Satsangi e disse: “Ho ottenuto il mio biglietto di ritorno e andrò via oggi”. Quando gli fu chiesto di essere più preciso sulla data, Swamiji rispose:”Ora”.
Swami Satsangi lo raggiunse a casa e lo vide seduto in meditazione. Ad un certo punto, lo vide unire le mani in preghiera e dire: “Dio, io sono pronto. Prendimi.” Dopo di che, Swamiji bevve alcuni sorsi di acqua del Gange, mise delle  foglie di tulsi in bocca, si abbandonò sempre di più alla meditazione e lasciò il suo corpo recitando l’Om.
Ancora una volta, Sri Swamiji ci ha impartito una lezione insegnandoci  come morire in un modo yogico in quanto, per lui, la morte era al pari della celebrazione della vita.
Prima di ritirare tutto il prana e lasciare il corpo, emise un suono con la bocca, un suono che si fa solitamente durante i matrimoni nel Bengala e anche in alcune tribù aborigene. La lingua colpisce velocemente e ripetutamente il palato superiore e genera il suono ulu-ulu-ulu. In Bengala, questa usanza  viene appunto chiamata “fare ulu” e significa che sta  per aver luogo l’unione fra due persone. Sri Swamiji fece questo suono proprio prima di lasciare il suo corpo per indicare che la sua anima  si stava per congiungere con l’Anima Superiore.
Leggiamo di yogi, rishi e siddha in grado di rinunciare al loro prana con la volontà ma ad oggi lo abbiamo solo sentito, nessuno li ha realmente visti. Sri Swamiji ci ha invece fornito la prova che quello che è stato scritto nelle pagine di storia è vero ma naturalmente, per lui, non è stato così difficile in quanto era proprio una persona fuori dal comune.