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martedì 24 dicembre 2013
lunedì 16 dicembre 2013
Brahmacharya
Tratto da Yama, Niyama, Brahmacharya
Dr. Swami Shankardevananda Saraswati MB,
BS (Syd)
Il concetto di brahmacharya è uno dei
meno compresi nell’ambito degli yama e niyama. Si dice che la continenza doni virya, coraggio e forza
irriducibili ma si pensa anche che si riferisca al celibato o all’astinenza
assoluta dal pensiero e dalla pratica sessuale.
Anche se l’astinenza sessuale è un aspetto maggioritario del
brahmacharya, ne è solo una parte ed è una delle cose più difficili da
controllare. Si potrebbe definire come la porta che conduce al controllo dei
sensi perché la sua padronanza facilita il controllo delle altre attività
sensuali che ci permette di entrare nel territorio del pratyahara, il ritiro
dei sensi.
Brahmacharya è soprattutto un
atteggiamento mentale nei confronti degli aspetti sensuali; il suo significato letterale è quello
di rivolgere la mente verso l‘assoluto e di conseguenza allontanarla
dall’indulgenza sensuale. Questo stato implica che, nello stato perfetto,
quando siamo assorti nella coscienza più alta, la beatitudine e la conoscenza
spazzeranno via il desiderio di attività sessuali e sensuali in quanto
sperimenteremo uno stato di maggiore appagamento.
Sri Nisargadatta
Maharaj ha riassunto lo stato di brahmacharya quando ha detto:”Il mio mondo è
come il tuo. Io vedo, sento, penso, parlo e agisco in un mondo che percepisco
come te. Ma per te è tutto, per me, è quasi niente…la realizzazione, il piacere
e il dolore hanno perso la loro influenza su di me. Mi sono liberato dal desiderio
e dalla paura. Mi sono ritrovato pieno, bisognoso di niente”.
Questo stato è libero dal bisogno di
indulgere sensualmente.
Sulla strada verso questo stato la pratica dell’astinenza sessuale è necessaria
in modo che la mente non sia continuamente distratta dal pensiero del cibo, del
sesso e da altri piaceri; in questa maniera potremo essere più consapevoli del
nostro appagamento interiore. Tutto ciò non significa che non dobbiamo
assecondare i nostri bisogni sensuali ma non dovremmo lasciarci prendere dal
senso di colpa e dalle reazioni di uno stato mentale negativo. Se questo si
manifesta, è molto meglio assecondare le richieste del corpo.
Il pericolo della repressione
Molte persone
soffrono inutilmente nel tentativo di padroneggiare brahmacharya. L’attività
sessuale è molto potente, è un bisogno biologico al quale sono legate le
emozioni più forti. I buddisti dicono che l’istinto sessuale è attivo prima
della concezione e della nascita e che determini la selezione dei futuri
genitori e del genere durante lo sviluppo embrionale. Ogni tentativo di
dominarlo richiede coraggio e determinazione. Si dice sia una forza talmente
potente che tentare di padroneggiarla possa essere come attaccarsi alla coda di
una tigre.
Un’altra
sofferenza inutile è quella legata ai sensi di colpa, alle nevrosi e ai
complessi che riguardano l’energia sessuale. Chi si sente in colpa ogni volta
che ha un pensiero sessuale, chi ha paura di diventare debole a causa
dell’emissione di seme, può trovare sollievo nell’idealizzare ciò che
brahmacharya immagini che sia. Ma, se il desiderio ardente sussiste, questo
interferirà con i sistemi ormonale e nervoso e causerà risposte fisiche che non
saremo in grado di fermare o reprimere in quanto ogni tentativo a tal riguardo
tenderà ad indebolire lo stesso sistema nervoso e genererebbe un circolo
vizioso di sbilanciamento mentale, malattia, psicosi che alla fine sarà
impossibile gestire.
Primi passi nel brahmacharya
I primi passi
nel brahmacharya andrebbero fatti una volta consolidate le pratiche di base
previste da asana, pranayama , tecniche meditative, di concentrazione e di
rilassamento.
Asana e
pranayama rilassano il sistema nervoso e riducono l’eccitazione sessuale
permettendoci di migliorare il controllo di nadi e nervi ottenuto attraverso le
pratiche meditative. Meditazioni semplici come yoga nidra per il rilassamento,
antar mouna per sviluppare il distacco e la capacità del testimone,
disinnescano la risposta emozionale del pensiero. In questo modo, noi penseremo
con la corteccia frontale del cervello senza coinvolgere l’emotività nel
sistema limbico e di conseguenza non stimoleremo l’attività del sistema nervoso
autonomo o delle ghiandole endocrine. In pratica potremo pensare a ciò che
vogliamo senza esserne coinvolti.
La formula di base del brahmacharya è:
lavora duro, mangia di meno, dormi di meno.
Anche se Freud
ha detto che una filosofia del genere lavora sulla sublimazione del desiderio
sessuale verso altri scopi creativi, c’è molto di più. Lavorare sodo significa
usare la propria energia in modo da essere così stanchi da fare qualsiasi altra
cosa, le nostre menti risulteranno così impegnate da problemi, responsabilità e
pensieri che non penseranno più all’attività sessuale.
Questo non è
abbastanza per il brahmacharya perché molte persone pensano che se devono
lavorare duro devono anche sostenersi mangiando molte proteine e cibi ricchi di
grassi ma, così facendo, aumentano il loro bisogno sessuale invece di ridurlo.
Il cibo è una parte molto importante del
brahmacharya essendo il
cibo stesso una fonte primaria per la soddisfazione dei piaceri sensuali che
accende allo stesso tempo il fuoco del desiderio sessuale. Nel brahmacharya, il
cibo deve essere insipido, libero da stimolanti come te e caffè, aglio, cipolla
e spezie di vario genere. La dieta deve contenere poche proteine soprattutto
derivate da carne, pesce e prodotti caseari. La ghiandola pituitaria richiede
proteine e vitamine E e B per la produzione di ormoni quindi se mangiamo meno
proteine produrremo meno ormoni e le proteine assimilate saranno usate per i
bisogni più necessari.
La dieta di uno
yogi è più ricca di carboidrati che grassi e proteine soprattutto sotto forma
di cereali integrali. Questo stimola nel cervello il rilascio di serotonina che
quando entra in circolo riduce l’eccitazione sessuale favorendo stati simili a
quando sogniamo e forse favorendo anche l’esperienza visionaria interna.
Una dieta simile
non ferma l’attività sessuale ma riduce gli effetti che questa esercita sulla
mente. La dieta non è tutto e va
combinata con altre pratiche di yoga e con la consapevolezza di cosa sia lo
scopo della disciplina. Tutto ciò va bilanciato con il celibato che non è fine
a se stesso ma uno strumento per ridurre le distrazioni che ci allontanano
dall’obiettivo finale.
L’attività sessuale non è un peccato.
Gli yama e
niyama, quando si basano su pratiche yogiche ben sviluppate, diventano
promemoria dai quali possiamo attingere equilibrio ogni volta che la mente
attraversa crisi, desideri, passioni, emozioni intense, odio e così via. Tutti
gli aspetti devono essere approcciati con la consapevolezza dei nostri limiti e
dobbiamo sempre ricordare che anche se falliremo molte volte, con la costanza,
avremo successo.
Il fine ultimo
degli yama e niyama non è quello di imporre un sistema etico e morale che
renderebbe la vita noiosa e tediosa e le nostre menti rigide ma quello di
affievolire il potere delle nostre passioni in modo da canalizzare l’energia
nel risveglio della kundalini e verso una coscienza superiore.
A quel punto
yama e niyama si trasformeranno da una forma di sadhana in una realizzazione
che aprirà le porte verso la libertà e la gioia.
giovedì 5 dicembre 2013
Mahasamadhi
Tratto da “Sannyasa
-Cultivating Spiritual Awareness-“
di Swami Niranjanananda Saraswati
Il 5 dicembre del 2009, il nostro guru, Sri Swami Satyananda
Saraswati, è entrato in mahasamadhi.
Il 2 dicembre si era appena conclusa la cerimonia di Yoga Purnima
dove Sri Swamiji aveva detto che stava ancora aspettando il suo biglietto di
ritorno e che non se ne sarebbe andato fino a quando non gli fosse stato
garantito.
Tre giorni dopo, alle 10.30 di notte, chiamò Swami Satsangi
e disse: “Ho ottenuto il mio biglietto di ritorno e andrò via oggi”. Quando gli
fu chiesto di essere più preciso sulla data, Swamiji rispose:”Ora”.
Swami Satsangi lo raggiunse a casa e lo vide seduto in
meditazione. Ad un certo punto, lo vide unire le mani in preghiera e dire:
“Dio, io sono pronto. Prendimi.” Dopo di che, Swamiji bevve alcuni sorsi di
acqua del Gange, mise delle foglie di
tulsi in bocca, si abbandonò sempre di più alla meditazione e lasciò il suo
corpo recitando l’Om.
Ancora una volta, Sri Swamiji ci ha impartito una lezione
insegnandoci come morire in un modo
yogico in quanto, per lui, la morte era al pari della celebrazione della vita.
Prima di ritirare tutto il prana e lasciare il corpo, emise
un suono con la bocca, un suono che si fa solitamente durante i matrimoni nel
Bengala e anche in alcune tribù aborigene. La lingua colpisce velocemente e
ripetutamente il palato superiore e genera il suono ulu-ulu-ulu. In Bengala,
questa usanza viene appunto chiamata
“fare ulu” e significa che sta per aver
luogo l’unione fra due persone. Sri Swamiji fece questo suono proprio prima di
lasciare il suo corpo per indicare che la sua anima si stava per congiungere con l’Anima
Superiore.
Leggiamo di yogi, rishi e siddha in grado di rinunciare al
loro prana con la volontà ma ad oggi lo abbiamo solo sentito, nessuno li ha
realmente visti. Sri Swamiji ci ha invece fornito la prova che quello che è
stato scritto nelle pagine di storia è vero ma naturalmente, per lui, non è
stato così difficile in quanto era proprio una persona fuori dal comune.
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