venerdì 23 maggio 2014

Karma yoga nella vita yogica e in quella familiare

tratto da una satsang con Swami Niranjan del 1989

Nella “Bhagavad Gita” si dice:
“Yoginahah karma kurvanti sangam tyaktwa dhananjaya”

“Le persone che sono consapevoli, gli yogi, fanno il Karma yoga senza attaccamento, con lo scopo di purificarsi internamente”

Nello stesso capitolo, si dice che il karma yoga è praticato attraverso la mente, manas, l’intelletto, buddhi, e la parola, vach. Se tutto ciò è vero, il Karma yoga diventa uno strumento per la purificazione dell’atman. “Atman” in questo caso, non significa “l’anima” ma l’identità di un individuo, il “Io sono”.

Qui, possiamo vedere la differenza fra le pratiche di Karma yoga utilizzate dalle persone internamente consapevoli, gli yogi, e da quelle che cercano il piacere sensoriale, i bhogi. Per i primi, c’è consapevolezza di mente, intelletto e interazione e il Karma yoga diventa una pratica meditativa. I secondi, prendono letteralmente la definizione del Karma yoga come “azione” e lo trasformano in un modo per esaudire le loro necessità, desideri e di conseguenza per accrescere il loro ego; sviluppano un senso di grande sicurezza, di “Io possiedo questo e quello”, un senso di opulenza ed egoismo.

Tutti, nel mondo, sono fondamentalmente egoisti, anche gli yogi e i capofamiglia. Nessuno al mondo è libero da questa idea, da questa identità. La differenza sta nella consapevolezza. Da una parte, ci si butta nel mondo semplicemente per ottenere soddisfazioni personali e piacere. Dall’altra, attraverso lo stesso tipo di azioni, conducendo lo stesso tipo di vita, lavoro, condizione familiare, si cerca un equilibrio con se stessi. Se volete quindi sapere la differenza fra il karma yoga degli yogi e dei capifamiglia, è solo una questione di consapevolezza.

Sangam tyaktwa atman shuddhiye: rinunciando all’attaccamento (sangyam tyaktwa), per la purificazione dell’atman (atma Shuddhi), lo yogi esegue le proprie azioni (yoginah karma kurvanti).

Le azioni si svolgono attraverso manas, vacha e buddhi, mente, parola e intelletto.

L’intelletto è quel processo razionale che avviene nella nostra testa, il pensare, l’analizzare, il filtrare. Quando è sviluppato 
creativamente, ci permette di raggiungere lo stato di viveka, la giusta percezione o la giusta comprensione, ma quando la buddhi viene stimolata a fluire libera nel mondo esterno, nella dimensione della materia, ci ritroviamo circondati da aviveka, i concetti sbagliati.

L’idea di concetto giusto o sbagliato, viveka e aviveka, non ha nulla a che fare con il fatto che pensiamo bene o male. No! Il concetto di viveka è basato sul capire le leggi della Natura che governano l’universo (il macrocosmo là fuori) e noi stessi (il microcosmo interno). E’ vivere in accordo con le leggi che internamente governano il corpo, le emozioni, la mente, lo spirito e che esternamente governano il mondo, l’universo. E’ così che raffinando le nostre abilità e le nostre percezioni e comprendendo le leggi della Natura, potremo praticare il Karma yoga attraverso l’intelletto.

Inoltre, esiste l’abilità di associare e disassociare, l’abilità di sentire intimamente in maniera soggettiva e di osservare esternamente con più oggettività, l’abilità di creare un desiderio e quella di rimuoverlo. Nel sistema tradizionale indiano si menzionano quattro stadi di vita che un individuo deve attraversare prima della morte: artha, dharma, kaama e moksha.

Artha significa affluenza sociale e individuale, soddisfazione personale, benessere economico e nei rapporti interpersonali. E’ nel processo di vita che non riguarda la tradizione dei sannyasin – nascere, andare a scuola, sposarsi, fare figli, divorziare, invecchiare, guadagnare soldi, risparmiare, ritirarsi in una casa per anziani e trovare un posto eterno con la tomba.

Il genere di vita generalmente accettata dalla società è una vita dove “artha” è molto presente mentre “dharma” gioca un ruolo minore.

Dharma significa obbligo, dovere, è la religione interiore che unisce questo e quello, il legame fra questa e quella identità.
Kaama, il piacere dei sensi, ha un ruolo importante nella vita sociale.

Moksha non ha invece alcun ruolo in quanto non c’è voglia di essere liberati, c’è troppo attaccamento, troppa materia bloccata nella nostra mente.

Per la persona “sociale” artha e kaama sono importanti. Nella vita di un rinunciatario, dharma, la conoscenza di questo legame, e moksha il concetto di liberazione, sono fondamentali. Se abbiamo le capacità di unire questi quattro fattori, di combinare artha con dharma, dharma con kaama e kaama con moksha, la mente può trascendere in quanto utilizzeremo la dualità della mente per creare un terzo stato mentale armonioso.

Esiste una teoria che ho elaborato personalmente, la teoria SWAN.

“S” sta per forza (strenght), determinazione, volontà, stamina ed energia.

“W” sta per debolezza (weakness), insicurezza, inferiorità, complessi e non consapevolezza del nostro potenziale.

Tutti hanno una S ma anche una W e allo stesso tempo hanno anche una A e una N.

“A” è l’ambizione (ambiton) e “N” la necessità (need).

Questo principio, SWAN, è controllato dalla mente. Se penserete di essere deboli, sarete deboli. Se penserete di essere potenti, sarete potenti. Attraverso un processo di autoipnosi possiamo diventare quello che non siamo sia in meglio che in peggio. Se ci sentiamo depressi, abbiamo la possibilità di uscire da questo stato in quanto la mente ne è coinvolta così come viene coinvolta da uno stato di eccitazione.

Dal momento che ogni esperienza, ogni ambizione e ogni necessità della vita sono governate dalla mente, il miglior modo per dirigere questa particolare facoltà mentale è quello di dare alla facoltà stessa l’abilità di associare e disassociare al momento giusto, in base alla situazione, all’opportunità e all’ambiente. Questo viene chiamato Karma yoga per la mente.

Con l’equilibrio si sviluppa anche un modo di parlare positivo e l’interazione. Se siamo in grado di controllare le negatività che abbiamo dentro e che ogni tanto proviamo, e se siamo in grado di sviluppare le nostre qualità positive, procureremo attraverso le vibrazioni e la comunicazione fisica, un impatto tonificante e invigorente nell’altro individuo.

Pensate a quando qualcuno di vostra conoscenza emana negatività e pensate alla reazione che talvolta innesca, amicizie di lunga data si possono rompere a causa di questo momento, si possono sciogliere addirittura le famiglie. Succede anche fra guru e discepoli.

Pensate anche a quando, nel caso contrario, noi stessi emaniamo energia positiva, equilibrata, e i nostri nemici si trasformano in amici.

L’equilibrio fra questo tipo di energia e la vostra energia personale è il terzo aspetto del Karma yoga.

Una volta che sarete in grado di fare i conti con la mente, l’interazione e l’intelletto, avrà luogo la purificazione interna, il processo di auto purificazione, atma shuddhi.

Questo vale per tutti, l’obiettivo è raggiungere questo equilibrio attraverso il Karma yoga.

Molti dicono che il Bhakti yoga in se stesso non è sufficiente per raggiungere moksha così come non lo sono Jnana yoga e l’Hatha yoga ma se combinati con il Karma yoga, faremo esperienza dello yoga totale


lunedì 12 maggio 2014

Cosa possiamo dire a coloro che non comprendono l'importanza del karma yoga?

tratto da una satsang con Swami Niranjan del 1989

Conosciamo già la definizione di Karma yoga, yoga dell’azione. Sappiamo che ci viene richiesto di agire con l’idea di non desiderare nessun risultato e nessun guadagno e neanche di aspettarci il beneficio dei frutti dell’azione ma ci viene invece richiesto di agire con l’idea della perfezione.
Nella vita di un sadhaka, il Karma yoga gioca diversi ruoli. Quando c’è troppa introversione, quando c’è troppa osservazione mentale, contemplazione, meditazione, si verifica una tendenza mentale di dissociazione nei confronti del mondo che ci confina dentro i limiti della nostra mente. Ce ne accorgiamo quando diventiamo introversi e leggermente depressi o anche quando non riusciamo a venir fuori da quello stato in cui la mente si auto osserva. Esternamente, questo si manifesta fisicamente con la letargia, mancanza di energia pranica, mancanza di associazione con l’ambiente esterno, mancanza di intenzione con i concetti di tempo e spazio.
Nella tradizione dello yoga, la pratica del Karma yoga serve per creare un equilibrio fra esperienza mentale e associazione della mente con l’ambiente esterno e per stabilire un legame fra la mente e i sensi. Si dice anche che se uno pratica mezz’ora di meditazione, dovrebbe poi bilanciare con un minimo di tre ore di lavoro fisico in modo da esteriorizzare le attività del corpo, della mente e delle emozioni e di conseguenza staccarsi da qualcosa che ha avuto luogo durante la meditazione stessa.
Uno dei propositi del Karma yoga è quello di diventare consapevoli del ruolo che la mente gioca relativamente al corpo, agli indriya, alla percezione sensoriale, all’intelletto, alla vita sociale, alla vita familiare e alla personalità individuale.
C’è anche un altro aspetto del Karma yoga. Quando diventiamo consapevoli delle azioni mentali, Karma non significa solo azione ma anche tutte le attività che da questa azione scaturiscono. Pensiamo, e dietro a quel pensiero c’è sempre una ragione per la quale si è manifestato. Quando pratichiamo antar mouna, osserviamo il processo del pensiero, troviamo un legame nei pensieri e cerchiamo di andare ancora più a fondo. Questo è Karma yoga mentale. Non è l’esperienza di uno stato ma dell’attività, il filo che lega l’insieme, la totalità delle nostre espressioni, dei nostri pensieri, sentimenti e atteggiamenti. Quindi, il Karma yoga è la consapevolezza dell’intero processo, della totalità delle attività che si verificano nel reame della mente, dell’intelletto, delle emozioni e del corpo.
Il processo di osservare, quello che noi chiamiamo drashta – l’attitudine dell’osservatore – è la parola chiave del Karma yoga. Osservate quello che state facendo e vi accorgerete che non è un’attività cieca ma consapevole e motivata. Di conseguenza, quando questo modo di osservare ogni azione della mente e del corpo si sviluppa, si verifica anche un’espansione di coscienza. Siamo in grado di capire cosa sta succedendo, che tipo di attività o azione si sta verificando e riusciremo anche a capire come implementare quell’azione in particolare.
Con il risveglio di questa consapevolezza drashta, il processo dell’osservatore, scopriremo spontaneamente i nostri conflitti interni, ciò che ci piace e che detestiamo, le nostre ambizioni e i nostri limiti. Si innesca un processo che filtra il negativo dal positivo e che ci fa riscoprire la nostra personalità. Diverremo inoltre consapevoli dei nostri attaccamenti che possono essere emotivi, fisici, intellettuali e avremo in questo modo la possibilità di osservarli. L’effetto deleterio dell’attaccamento e l’effetto propositivo dell’attaccamento in relazione allo sviluppo della nostra personalità vengono filtrati e l’ego viene eliminato.
Si possono dire tante cose a proposito ma ciò che è importante, soprattutto in ashram, è capire l’oggettività che enfatizziamo in questa pratica di Karma yoga esterno. Con il tempo, questo sentimento che sviluppiamo con una pratica esterna verrà interiorizzato dalla mente in modo tale che il sadhana meditativo e contemplativo darà risultati migliori e aiuterà a canalizzare le energie conflittuali derivanti dagli attaccamenti e da tutto il materiale non filtrato che attraversa la nostra mente.








giovedì 1 maggio 2014

Appagamento, fede e serenità

 di Swami Satyananda Saraswati
tratto dalla rivista “Satya Ka Avahan”

Ogni aspirante spirituale ha bisogno di coltivare un appagamento di alto livello perché senza, non c’è possibilità di mantenere la mente in uno stato di serenità.
Il sadhaka deve raggiungere uno stato di equilibrio costante e di fermezza con l’ausilio di una potente risoluzione o sankalpa, della meditazione e di ogni altro mezzo disponibile. Lo scopo è di ottenere uno stato di calma perfetta e di serenità che vada oltre tutto quello che succede nell’ambiente esterno. Il fine non è solamente quello di diventare abili nel domare l’agitazione mentale quando si manifesta ma di padroneggiare quel potere così raro e speciale di prevenire ogni interferenza prima che si manifesti.
Quando si presenta qualcosa che ci agita, si ha  bisogno di troppa energia per eliminarla completamente in quanto anche se esternamente sparisce presto, nel subconscio permane a lungo tempo.
Per raggiungere un tale stato di tranquillità, l’aspirante deve sviluppare uno stato mentale dinamico e positivo che non ha niente a che fare con la negatività mentale caratterizzata da pigrizia e mancanza di iniziativa ma che, invece, si basa sulla perfetta indifferenza nei confronti del divertimento personale, della comodità e altre cose che potrebbero influenzarci nella strada verso quella pace che ci porta oltre il reame dell’illusione, della miseria e del coinvolgimento nella vita terrena.
Si può fare esperienza di vairagya, si può credere in una realtà superiore e si può praticare tutta una serie di sadhana ma, fino a quando non si sviluppa una fede profonda e forte che non ci faccia tremare davanti a nessuna tempesta, l’impegno personale nel sadhana yogico rimarrà condizionale e non culminerà mai nel samatvam (equanimità).
I comportamenti abituali sviluppati attraverso diverse vite non possono essere trasformati all’improvviso quindi è necessario pianificare e fare le cose in un modo regolare ed efficiente. Pensare e ragionare si differenzia dal preoccuparsi e dal creare problemi alla mente. Pensate e decidete; non preoccupatevi e non appesantite la mente. L’efficienza, l’intelligenza e l’interesse non hanno bisogno di essere eliminati e neanche minimizzati.
Il segreto del vostro successo sta nel fatto che vi siete dedicati a qualcosa completamente mentre il fallimento che generalmente riguarda chi è troppo radicato nelle cose terrene, deriva dal fatto che si è come tronchi di legna buttati qua e là nel mezzo di un oceano di problemi.
Avete mai pensato al vairagya temporaneo che sviluppano alcune persone per un po’ di tempo e che poi scompare? Questo accade perché non c’è nessuno che li aiuti a mantenere l’equilibrio spirituale; non è cosa da vergognarsene ma è certo una cosa da imparare e tenere in considerazione. E’ così che la mente si comporta fino a quando non si è completamente arresa e incanalata in un vero sentiero di tranquillità. Si dovrebbe avere fede in obiettivi e cose più elevate ed è questo il modo per poter poi mantenere un alto livello di appagamento. 
Questo è quello che Lord Krishna intendeva nella Bhagavad Gita quando dice (6:18):

“Allorchè la mente che ha raggiunto l’equilibrio è fondata sul Sé e solo su di esso, esente da desideri, da tutte le passioni, si dice allora che ha raggiunto l’equilibrio yogico”.