domenica 1 febbraio 2015

E LUI APRI' LA PORTA (seconda parte del post: "Il mio guru, Swami Sivananda")


(seconda parte del post Il mio guru, Swami Sivananda)


E lui aprì la porta

Feci moltissime esperienze con Swami Sivananda. Vi racconto solo questo episodio. In Ashram c’era un servitore, un giovane arrogante. Vi era la regola, in ashram, che dopo il pasto, ogni residente e ospite avrebbe dovuto prendere il proprio piatto e lavarlo sulle rive del fiume Gange. C'era un vecchio swami, il quale dopo aver concluso il suo pasto, lasciò il piatto in cucina da lavare. Gli dissi: "Lascialo pure lì, lo farò lavare." Sapevo che lui non poteva andare giù al Gange.

Khushiram, il giovane servitore, che stava lavando altre grosse stoviglie si arrabbiò: “Non voglio piatti qui. Buttalo via”. Così gettò via il piatto e io gli dissi: “Esci, abbandona l’ashram”. Questa era la mia natura. Avevo considerato solo la mia reazione e non avevo considerato che anche lui fosse un uomo. Ero un uomo forte, per cui quando gli dissi di lasciare l’ashram, egli dovette lasciare l’ashram. Ad ogni modo poi qualcuno gli disse di andare da Swami Sivananda per congedarsi da lui. Questa era la tradizione.

La sera, quando Swamiji uscì, Khushiram toccò i suoi piedi e gli disse: "Swamiji, sto andando via. Swami Satyananda mi ha ordinato di lasciare l'ashram." Swamiji non mi chiamò, aveva capito tutto, perché Swamiji era un uomo scaltro e intelligente. Swamiji accolse Khushiram nella sua cucina personale e lo tenne lì.

Questa decisione fu un’ offesa per me. Era un’ offesa recata dal mio Guru nei miei confronti. Egli tenne questo giovane al suo servizio personale – nel luogo dove mi sarei dovuto recare ogni giorno - sapendo che io gli avevo detto di lasciare l’ashram; lo avrei dunque incontrato alla porta di Swamiji. Questo episodio fu così offensivo per me, che mi disturbò parecchio.

Tutti i principi dello Yoga di cui parlavo: la mente conscia, inconscia, super conscia…tutto era distrutto. Tutti gli stati mentali erano nel caos, tutte le emozioni erano in uno stato confusionale. Tutto ciò che avevo pensato, tutte le filosofie che avevo predicato, tutto ciò che era nella mia mente era in uno stato confusionale. Perciò dissi: "Lascerò l'ashram e me ne andrò".

Poi pensai “Ricevi una piccola offesa dal tuo Guru e desideri lasciare l’ashram e andare via. Se non riesci neanche ad osservare e comprendere l’atteggiamento “offensivo” del tuo Guru, cosa sei qui a fare? E perché dici che egli è il tuo Guru?. Digli piuttosto: io sono un lavoratore, quindi per favore comportati meglio con me da oggi. Puoi non pagarmi con i soldi, ma dammi del cibo. Voglio servire l’istituto, ma non voglio essere tuo discepolo e non voglio che tu sia il mio Guru”. Posso al contrario affermare che egli è il mio Guru, la mia vita, il mio prana, ogni cosa, ma non appena mi mette alla prova fallisco.

Non riuscivo a ricordare. Feci così tanti progetti che non riuscii a dormire tutta la notte. Ero diventato niente meno che segretario dell'ashram e non un membro ordinario qualsiasi. Avevo tutte le chiavi dell’ashram, gestivo i contanti, le banche e tutto il resto, e pensai che questa offesa fosse per me come la morte.

La mattina successiva esitai ad andare nel bungalow di Swamiji, perché ero molto arrabbiato. Avevo mandato via il servitore che continuava a restare lì e a dirmi: "Ah! Così mi hai mandato via”. Sarebbe stata  una guerra tacita, segreta, tra lui e me. Allora, non riuscii a capire. Adesso capisco, perché vedo la realtà in modo distaccato. I miei discepoli non capiscono perché non hanno ancora la lucidità. Oggi nel mio ashram mi preoccupo di mettere alla prova i miei discepoli. Li ho messi già una volta alla prova e sono stato messo a mia volta alla prova.

La mattina successiva, si presentò Swamiji alla porta, non il servitore. Aprì il cancello e disse: "Hari Om, Namo Narayana.". Io dissi: "Oh sì, tu sai cosa sta accadendo alla mia mente." Mi fece entrare e osservò le mie carte, e tutto ciò che dovevo mostrargli. Non disse nulla inizialmente, poi aggiunse: "Hai apprezzato che io abbia aperto la porta per te? …Mi venne un colpo ! …”.

Dissi: "Hai dovuto aprire la porta, altrimenti chi lo avrebbe fatto?". Gli dissi ciò che pensavo. Non volevo che fosse il servitore ad aprire la porta; questo era il punto. Ma il punto successivo era che egli era il Guru ed è il Guru che deve aprire la porta, la porta che conduce alla luce. Allora egli disse: "Hai apprezzato quando ho aperto la porta?" lo disse ancora ed io gli risposi, "Dopo tutto, sei tu che devi aprire la porta."

 Iniziazione

Nel 1946 ero fisicamente stanco. Ebbi un attacco di itterizia, diarrea, dissenteria, febbre tifoide o paratifo, non ho mai saputo che cosa fosse perché non ho mai consultato un dottore. Non c’erano dottori, non c’erano medicine, non c’era niente. Sapevo che non stavo bene, avevo ancora energia ma fisicamente ero ridotto uno scheletro.

 Avrei invece preferito lavorare a casa mia. Avevo tantissime terre, possedimenti e su di esse molto bestiame, bufali, pony. Maya mi circondava completamente donandomi il meglio di se.

Così scrissi una lettera a un mio amico che si trovava a Lahore, questo accadde prima della Partizione (dal Pakistan avvenuta nel 1947 ndt); rispose che si stava organizzando per trovarmi un posto come sostituto dell’editore nella rivista Tribune. Dopo qualche giorno arrivò la lettera dell’incarico alla quale risposi dicendo “non ho soldi”, egli allora mi inviò quattrocento rupie. Mi sono fatto fare dei vestiti, cappotto, pantaloni, cravatta, tutto. Questo swami pazzerello!

Quando tutto fu pronto, andai da Swamiji e gli dissi: “me ne vado penso di voler tornare indietro”. Egli rispose, non ricordo esattamente cosa, e mi disse: “Okay, l’8 settembre avrà luogo la celebrazione del mio Giubileo di diamante, puoi lavorare qui fino ad allora, dopo di che puoi andare”. Gli risposi: “Okay, altri due mesi”.

Non ho mai saputo che in verità lui stava cercando di circondarmi su tutti i fronti, così rimasi. L’8 settembre era il suo compleanno. Tra il 9 e il 10 i visitatori se ne andarono e l’11 egli mi chiamò e mi disse: “tu verrai qui domani mattina e prenderai il sannyasa”; un fulmine a ciel sereno! Non sapevo cosa dire. Mi disse: “domattina alle sette prenderai il sannyasa ed eliminerai tutti i tuoi attaccamenti, impegni e obblighi verso gli aspetti inferiori della vita”. Gli risposi: “va bene” e di nuovo la mia mente si fermò.

Dimenticai tutto quello che riguardava il Tribune, dimenticai ogni cosa. La mia mente era vuota, non dormii per tutta la notte, ripetei il mio mantra che ai tempi era il Gayatri; mentre aspettavo che arrivasse il mattino ero molto ansioso, fu per me una notte molto lunga.

Mi alzai alle due, alle tre, alle sei; stavo aspettando quando improvvisamente qualcosa nella mia mente cambiò. Alle sette andai da lui ed egli chiamò un barbiere che mi rasò. Ero già rasato ma avevo lasciato un ciuffo di capelli su bindu, una piccola manifestazione del mio ego, quando anche questo ciuffo fu tagliato. Mi diede un piccolo langoti, una piccola fascia di stoffa, un dhoti e portò via il mio janeu, il filo sacro.

Mi disse: “In questa vita, oltre la vita, dopo la vita – ovunque ti trovi, in un bar a bere un ponce, in compagnia di donne o tra prostitute, non rinunciare mai al geru”. Quello era un sankalpa, un ordine che mi diede. “Non importa cosa fai, non mi interessa, il Geru ora è la tua pelle”, quello è il motivo per il quale amo il geru così tanto.

Da solo

Per tre anni, dal 1953 al 1955, egli lasciò che io smettessi di lavorare in ashram e mi dedicassi unicamente allo studio. Durante quel periodo mi concentrai completamente sullo studio degli shastra, giorno e notte – dai Rig Veda fino ai libri dell’età di Gandhi – ogni tipo di religione, in sanscrito, hindi, inglese, qualsiasi cosa. Mi mandò per un anno a Gujarat e Samashtra e mi volle con sè durante il suo tour di tre mesi per l’India, affinchè potessi avere un’idea delle persone.

Nel 1956 non ero in forma. Un giorno Swamiji mi chiamò, in quel periodo egli sentiva che l’ashram non era il posto giusto dove io mi sarei potuto esprimere liberamente, sapeva che avevo una mia filosofia sia nel lavoro che nella vita. Mi disse: “l’ashram per te è troppo piccolo, il tuo destino è importante”. Mi diede centootto rupie, che non ho speso e porto ancora con me nella mia borsa, per me sono molto preziose e le tengo sigillate. Mi disse: “prendi quello che ti piace dall’ashram ma sarebbe meglio che tu andassi con meno cose possibili”.

Mi disse: “Ci sono cose che le persone non conoscono e che noi non insegniamo loro perché non sono ancora pronte. Esse vogliono conoscere solamente qualche asana o qualche tecnica di pranayama. Molte persone sono spaventate dallo yoga e quindi non insegno yoga più di tanto”. Così mi ha insegnato il kriya yoga. Mi ci sono voluti solo cinque minuti perché conoscevo già i kriya del kriya yoga.

Lasciai l’ashram il 19 marzo del 1956, la stessa data in cui ero arrivato. Ho vagato ovunque, in quel periodo ero completamente avverso alle istituzioni – niente ashram, niente discepoli, niente soldi. Ho fatto la vita del mendicante, volevo solo essere libero. Se volevo fumare nessuno doveva dirmi “perché un sadhu fuma?”. Se volevo bere, nessuno doveva dirmi “perché bevi?”, io mi faccio gli affari miei, voi fatevi gli affari vostri.

La società è un organismo ben collegato che le persone devono seguire, indipendentemente dal fatto che sia giusto o sbagliato. Nessuno può dire che tutto quello che la società ha deciso sia giusto; le regole della società si sono costituite in modo automatico. A volte sono state create da persone affette da falsa vanità, per questo ogni tanto si sente la necessità di voler vivere in modo libero. Se voglio chiudere gli occhi per cinque ore, che interesse avrà mia moglie o mia madre per chiedermi: “che cosa ti sta succedendo? Stai impazzendo?”; si, sto impazzendo, se non ti va bene puoi andartene.

Anche oggi ovunque vada non vivo mai con i familiari perché dovrei dire: “si, va tutto bene”. Mi piace vivere in qualsiasi altro luogo, dove posso dormire quando mi piace, posso russare quanto mi piace, posso fare il bagno, posso cantare, posso piangere, posso dormire per terra. Ho vissuto in questo modo per alcuni anni.

Alla fine sono tornato a Munger e quello fu l’inizio di un’epoca, il posto era bellissimo. Il 13 luglio del 1963 ho avuto un risveglio interiore, ricevetti un messaggio, da quel momento tutto ebbe inizio. Vi ho parlato di molte esperienze e potrei andare avanti e avanti…


Sivanandashram,  Munger, 16 ottobre 1982



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