mercoledì 23 ottobre 2013

Lo yoga dello sconforto

Tratto da Bhagavad Gita
Lecture given by Swami Satyananda Saraswati
in Denmark on 14th March, 1971



Il primo capitolo della Gita si chiama “Lo yoga dello sconforto”. Ci sono molti tipi di yoga: hatha yoga,bhakti yoga, karma yoga, tantra yoga, nada yoga, gyana yoga e così via, ma avete mai sentito lo yoga dello sconforto, del disappunto, della frustrazione e del collasso? Lo yoga non ha inizio quando girate la mala ma quando tutto sembra pesantemente contro di voi, quando, nella vostra vita, state affrontando dei problemi. Fino a quando la vostra anima non incrocia il conflitto, fino a quando la vostra mente non incontra difficoltà e disappunto, entrambe non si attiveranno ma vivranno come un maiale, assolutamente soddisfatto e contento di dormire in continuazione.

Non considerate queste difficoltà e questi problemi come qualcosa che proviene dal mondo esteriore, la Gita non parla di problemi materiali o delle necessità di base della vita come il cibo e gli abiti ma parla degli stessi problemi dell’uomo che tanto fanno discutere gli psicologi ovvero quei problemi radicati così nel profondo che coinvolgono la vostra personalità interiore, che sono profondi tanto quanto le pianure sottoceaniche.

Potete sempre dire che non avete problemi ma io non ci credo perché senza loro, è impossibile esistere. Questa dualità o anime in contraddizione lavorano fianco a fianco in ogni uomo ad esclusione dei saggi illuminati. Quando diventiamo coscienti di queste forze contrastanti, piangiamo ed urliamo perché non sappiamo come eliminarle e invece qui inizia lo yoga.

Non dobbiamo gettare una coperta sopra le nostre debolezze. Sia che siate un uomo bravo o cattivo, un uomo pieno di passione o uno con tendenze criminali, dovete capire cosa c’è dentro di voi. La psicologia moderna ha portato alla nostra attenzione il fatto che nel mondo ci sono migliaia e migliaia di persone che non vogliono sapere cosa sono perché se lo scoprissero ne sarebbero spaventate e terrorizzate. Sia che si tratti della nascita o della morte, di una perdita o di una vincita, di una lode o una critica, passione o rabbia, ogni volta che si verifica qualcosa che vi turba, dovete andare a fondo nella vostra coscienza e scoprire cosa sta succedendo, dovete capire bene. Questo è il secondo consiglio della Gita.

Scoprire e comprendere i propri conflitti non significa eliminarli e per questo è necessario iniziare un sadhana – la parte pratica dello yoga. Nella Gita, il sadhana inizia con il karma yoga, lo yoga dell’azione che significa trasformare il proprio karma e le proprie attività quotidiane in un modo tale che conducano ad un progresso spirituale. Insieme al karma yoga, dovrete praticare raja yoga e poi bhakti yoga e poi ancora gyana yoga in modo da diventare vincitori della battaglia ed eliminare i conflitti radicati nella vostra personalità. Quando la vostra mente sarà completamente libera dall’influenza e dalle associazioni generate dai conflitti, solo a quel punto sarete un uomo liberato – un jivanmukta.

Secondo la Gita, il concetto di liberazione non vuol dire  chiudere gli occhi, ritirare la mente ed entrare nel grande vuoto ma vivere la vita senza esserne travolti mai, in nessun modo, a nessun costo. E’ il distacco nel mezzo dell’olocausto.
Quando affrontate questa vita illogica e particolare, il grande vuoto è completamente eliminato. Nella Gita si dice che la salvezza riguarda l’amore, l’odio, la frustrazione e il compiacimento.

La gente ama pensare “Io sono Brahman, sono pieno di fede, sono parte di quella coscienza” e poi, nella vita di ogni giorno, combatte con la propria moglie. La libertà completa va oltre la dimensione terrena e va però portata nella vita quotidiana, non deve essere relegata nella stanza della meditazione ma deve entrare nella vostra cucina, esprimersi quando lavorate, quando guidate la macchina, quando dovete affrontare una crisi emotiva.
Per far esperienza della libertà totale in ogni ambito della vita, meditare per un’ora non è sufficiente, dovete reindirizzare la vostra filosofia verso una mente in salute, verso una cultura che tenga conto delle nuove dimensioni della coscienza.

La rinuncia non è libertà. Secondo la Gita, l’astensione e il tirarsi indietro dai propri doveri significa vivere la vita a metà. Lo yoga della Gita è conosciuto come purna yoga – lo yoga completo. Se vi trovate bene con il bhakti yoga e pensate che l’hatha yoga sia per la gente malata, che il raja yoga sia per gli swami, che il karma yoga e il gyana yoga non fanno per voi ma che volete solo cantare il nome di Dio e ballare in suo onore state facendo apurna yoga ovvero state facendo yoga ma in una maniera non completa. Bisogna cercare una giusta combinazione di yoga perché la personalità è composta da dinamismo, devozione, misticismo e razionalità. Nella vita, questo è il nutrimento necessario e in base a questo dovete praticare karma yoga per il dinamismo, bhakti yoga per le emozioni e per la devozione, raja yoga o tantra yoga per il misticismo e gyana yoga o Vedanta per la razionalità.

Quando vorrete inserire la filosofia della Gita nella vita quotidiana, vi dovrete ricordare di questi cinque punti. Prima di tutto, lavorate duro; aspettatevi le cose ma se non vengono non disperatevi; siate coraggiosi e buttatevi in nuove avventure.
Qualsiasi tipo di yoga praticate, non dimenticatevi la coscienza centrale o l’Atman dentro di voi. In ultimo, non condannate nessuna fase della vita perché sono tutte fasi di coscienza. Se condannate la vita di qualcuno, un padre di famiglia, un sannyasin, un ubriacone, ecc., generate malattia nella vostra mente.

Nella Gita, Krishna afferma che sia il malato che il delinquente che il santo sono tutti lati diversi della sua evoluzione, angoli diversi della sua grande figura.

Se praticate hatha yoga, karma yoga, bhakti yoga, ecc., con un atteggiamento liberale nei confronti della vita, non solo avrete successo ma otterrete l’illuminazione.
L’appagamento non si ottiene con la conquista ma arriva da un senso di illuminazione che si ottiene con lo yoga. Ognuno di voi deve provare lo yoga perché vi assicuro che se il mondo vi ha deluso, se la vostra famiglia e i vostri amici vi hanno deluso, se anche il vostro corpo e le vostre stesse promesse vi hanno deluso, c’è solo una cosa che non vi tradirà e non vi deluderà mai, lo yoga.


Potete pure prendere questa cosa come una dichiarazione ardita da parte mia.


domenica 13 ottobre 2013

Bhagavad Gita

Lecture given by Swami Satyananda Saraswati
in Denmark on 14th March, 1971.


La “Srimad Bhagavad Gita” è conosciuta come Gita e fa parte del grande poema epico “Mahabharata” che significa “La Grande India”. Per molti secoli, questo libro ha segnato le menti dei pensatori e degli uomini di stato indiani e ha coinvolto non un’ora ma un’intera vita della gente indiana. E’ una filosofia che la mente indiana capisce velocemente.

La Gita inizia in un modo drammatico. 5000 anni fa c’erano due rami della stessa famiglia conosciuti come “i Cinque Fratelli” e “i Cento Fratelli”. Questi ultimi erano le autorità che governavano e che cercavano di ottenere il controllo completo del regno rifiutando di condividerlo con gli altri fratelli. Il problema diventò così grande che entrambe le parti si prepararono per una grande guerra che avrebbe così risolto la questione. Quando arrivò il giorno fatidico, i due eserciti si trovarono sul campo di battaglia uno di fronte all’altro. Il comandante dei “Cento Fratelli” era un potente uomo nobile chiamato Bhishma mentre il comandante dei “Cinque Fratelli” era Arjuna, terzo dei cinque fratelli ma eletto al comando perché conosciuto come il guerriero più valoroso.Il cocchiere del suo carro era Sri Krishna, conosciuto come una delle grandi incarnazioni del Signore.

Quando si parla della Gita, dobbiamo fare riferimento a Krishna perché è colui che ha rivelato la Gita ad Arjuna e fino a quando non si conosce tutta la vita di Krishna, il significato della Gita rimarrà oscuro.
Dalla nascita, Krishna non incontrò altro che ostacoli e sofferenze. Giorno dopo giorno, dovette combattere e scontrarsi con nemici di ogni tipo e nonostante ciò, non ci fu un solo giorno che non rise. Nella mitologia indiana, Krishna viene rappresentato come il ragazzo birichino, il giovane che gioca nei campi con i ragazzi e le ragazze mandriani, come un uomo politico che offre consigli da esperto, il guerriero che combatte in battaglia e come il guru che impartisce lezioni di yoga e altre scienze.

Quando entrambi gli eserciti erano pronti per combattere, il virtuoso Arjuna si lasciò prendere da un grande sconforto e quando realizzò che avrebbe ucciso membri della propria famiglia, decise di rinunciare alla battaglia. Qui è dove ha inizio la Gita e dove Lord Krishna interviene dicendo che un uomo deve affrontare la vita, accettarla e combatterla sotto ogni aspetto. Chi si aspetta una vita confortevole e assoggettata alle proprie necessità, è destinato a soffrire in quanto bisogna accettare la vita così come si presenta e ottenere il meglio che può dare attraverso una filosofia, la conoscenza o la fede.
Ogni uomo si adopera per soddisfare le proprie ambizioni e i propri desideri, infatti quando questo succede è felice ma allo stesso tempo ha anche paura di perdere ciò che ha ottenuto e se non ci riesce, è completamente distrutto. Questo è lo scenario da sul quale si sviluppano tutti i problemi della vita, mentali, psicologici e emotivi e questa è la battaglia eterna che si deve affrontare e combattere dalla nascita alla morte.

I Cinque e i Cento Fratelli stanno a rappresentare le due grandi forze conflittuali che coesistono in ogni individuo. Per far sì che l’individuo progredisca, il conflitto è necessario, senza queste forze opposte non è possibile evolvere. Il confort e il piacere rappresentano la morte in quanto non permettono all’individuo di andare avanti nella propria vita. Le difficoltà e i problemi sono, invece, la forza acceleratrice dell’evoluzione umana. Da qui apprendiamo che bisogna sempre affrontare il conflitto e solo in questo modo l’animo potrà crescere. La conoscenza divina e spirituale arriverà solo a colui che accetterà e capirà la natura del conflitto.

Fra queste due fazioni o forze opposte, c’è Lord Krishna che è il condottiero del carro. Il suo corpo è la biga, il cocchio, lui è l’anima interiore o il guru che può aiutare ogni uomo nel suo conflitto. Krishna non è direttamente coinvolto nella lotta ma sta dietro quella lotta, creando quel conflitto permette alla coscienza individuale di evolversi. Sulla base di questo contesto, dobbiamo comprendere la Gita.

Nella vita umana, una forza deve essere controllata mentre l’altra deve essere espressa. Il conflitto deve essere affrontato con un’aspirazione e un background yogico. L’unica cosa da fare quando si manifesta il conflitto è capirlo e iniziare a praticare yoga.

Lo yoga riguarda l’evoluzione della coscienza individuale dal livello più basso ad un piano più alto.

Lo yoga ha decisamente un inizio e progredisce in base all’evoluzione della coscienza ed esiste un momento in cui lo yoga raggiunge un apice che non è però un punto di arrivo.



sabato 5 ottobre 2013

Mirabai (seconda parte)

dagli insegnamenti di Swami Sivananda Saraswati


Re Akbar
Una volta, il re Akbar e il suo musicista di corte, Tansen, arrivarono a Chitore per ascoltare le canzoni devozionali di Mira. Entrambi entrarono nel tempio e si misero in ascolto di quelle canzoni che scuotevano l’anima.
Akbar rimase così coinvolto che prima di partire, toccò i piedi sacri di Mira e, come offerta, infilò al collo dell’idolo una collana di smeraldi. La notizia arrivò alle orecchie orecchie di Rana che si infuriò e ordinò a Mira di gettarsi nel fiume in quanto aveva disonorato ancora una volta la sua famiglia.

Salvata
Mira obbedì all’ordine del marito e andò al fiume per annegarsi. I nomi Govinda, Giridhari, Gopal rimasero sulla sua bocca. Appena alzò i piedi dal suolo, una mano la afferrò da dietro, si girò e vide il suo amato Krishna. Mira cadde in trance ma dopo pochi minuti aprì gli occhi e vide Lord Krishna sorridere.
Krishna le disse:”Mia cara Mira, la vita con il tuo marito mortale è sorpassata e adesso sei completamente libera. Sii felice, adesso sei mia. Vai subito per le strade di Vrindavan. Cercami lì, figlia mia. Fai presto!”. Poi, Krishna sparì.

Vrindavan
Mira accolse subito la chiamata divina e si avviò immediatamente camminando scalza sulla sabbia bollente del Rajastan. Lungo il viaggio, fu ospitata da donne, bambini e devoti. Raggiunse Vrindavan e trovò il suo suonatore di flauto (ndt: con Flute-bearer si intende Lord Krishna – “The Flute–bearer of Vrindavan) ) .
Ogni giorno mendicava per il cibo e celebrava la divinità nel mandir di Govinda che diventò un famoso luogo di pellegrinaggio. I devoti di Chitore arrivarono a Vrindavan per vederla. Arrivò anche Rana Khumba che si pentì per le sue gesta crudeli. Mira si prostrò davanti a lui.
Mira avrebbe voluto ricevere il darshan di Jivan Gosain, capo dei Vaishnavites di Vrindavan ma lui rifiutò perché non avrebbe mai permesso ad una donna di stare alla sua presenza.
Così Mira rispose:”Tutti sono donne a Vrindavan. Solo Giridhari Gopal è Purusha ma oggi vengo a sapere che c’è un altro Purusha oltre a Krishna”.
Jivan Gosain si vergognò di se stesso e comprese la grandezza di Mira, andò a vederla e le porse i suoi omaggi.

Immortale
La fama di Mira si spinse molto lontano tanto che molte principesse e regine iniziarono ad andare e venire nel luogo dove lei si trovava. Ranis, kumaris e maharanis (**vedi nota) erano già apparse sul palcoscenico del mondo ma erano sparite.
Perché solo la regina di Chitore viene allora  ricordata? E’ a causa della sua bellezza o per le sue capacità poetiche? 
No. E’ a causa della sua rinuncia, della sua devozione unidirezionale nei confronti di Lord Krishna e della sua realizzazione divina. Lei si trovò faccia a faccia con Krishna, parlò al suo amato e mangiò con Lui. Dal profondo del suo cuore, lei suonò la musica della sua anima, la musica del suo amore. Fece esperienza della suprema visione cosmica e vide Krishna negli alberi, nelle pietre, nelle rocce, nei fiori, negli uccelli e in tutti gli esseri. Fino a quando esisterà il nome di Krishna così esisterà il nome di Mira.
E’ estremamente difficile trovare un parallelo con la meravigliosa personalità di Mira, una santa, filosofa, poeta e saggia. La sua vita ha un fascino particolare, è bellezza e meraviglia. Era una principessa ma abbandonò i piaceri del lusso per una vita povera e austera. Anche se era una donna delicata, riuscì ad intraprendere il difficile sentiero dello spirito e si sottopose a diverse prove con un coraggio unico. Mira aveva una forza di volontà unica.
Le canzoni di Mira infondono fede, coraggio, devozione e amore di Dio, sono fonte d’ispirazione per chi si avvia sul sentiero della devozione, generano un brivido meraviglioso e sciolgono i cuori.

Nell’oceano dell’amore
Mira era senza paura, gioiosa, amabile, graziosa ed elegante. Non era interessata all’opinione pubblica o a quello che prescrivevano le scritture, lei non celebrava i rituali devozionali ma ballava nelle strade. Krishna era suo marito, padre, madre, amico, parente e guru.
Il profumo della devozione di Mira si sentiva da molto lontano. Tutti quelli che venivano in contatto con lei erano travolti da un’ondata d’amore. Il suo cuore era un tempio devozionale e il suo volto era il fiore di loto dell’amore divino. C’era gentilezza nella sua espressione, amore nei suoi discorsi, gioia nei suoi gesti, potere nelle sue parole e fervore nelle sue canzoni.
Le canzoni mistiche di Mira erano come un balsamo emolliente per i cuori infranti e i nervi scossi. La dolce musica delle sue canzoni dona un’influenza benigna agli ascoltatori, rimuove la discordia e la disarmonia e coccola nel sonno.
E’ così grande il potere dell’amore espresso nelle sue canzoni che anche i non religiosi e gli atei ne sono profondamente colpiti.
Il nome di Gridhari Gopal era sempre sulle labbra di Mira e anche nei sogni, lei viveva e riponeva il proprio essere in Lord Krishna.
Un simile stato di esaltazione non può essere adeguatamente espresso con le parole.
Mira era immersa nell’oceano dell’amore.

**il termine Rani può essere tradotto genericamente con Regina; con Kumari o Kumari-Devi si intende la tradizione di venerare ragazze pre-adoloscenti come manifestazione dell’energia divina femminile; il titolo Maharani viene attribuito alle mogli dei Maharaja o negli stati dove era possibile, alle donne che governavano.
Qui viene riportata un’interpretazione molto sintetica ma dietro questi termini si celano significati più complessi rappresentativi della vasta cultura e tradizione Hindu.