domenica 24 novembre 2013

Yama, Niyama, Brahmacharya

Dr. Swami Shankardevananda Saraswati MB, BS (Syd)


Yama, Niyama, Asana, Pranayama, Pratyahara, Dharana, Dhyana, Samadhi sono gli otto stadi della disciplina yogica. Non-violenza, verità, onestà, continenza e non-possesso sono i cinque yama (restrizioni). Purezza, appagamento, austerità, studio di sé e abbadono al Divino sono i niyama (prescrizioni).
Yoga Sutras, 11:29, 30, 32

Uno degli ostacoli più grandi per una profonda comprensione dello yoga è nel concetto di yama e niyama così come è esposto negli Yoga Sutra di Patanjali.
Molta gente raccoglie le parole dei grandi Maestri e dopo averle analizzate intellettualmente pensa di avere progredito nella pratica dello yoga. Ma questo è solo un altro inganno della mente in quanto una simile conoscenza diventa una vera barriera che ostruisce una comprensione più ampia.
Nell’approcciare un libro vasto come quello di Patanjali dobbiamo cercare di avere una visione globale e non periferica. Quando nel primo sutra afferma, “E adesso le istruzioni che riguardano lo yoga”, stabilisce implicitamente che l’aspirante sia già ben consolidato nella pratica del karma e dello bhakti yoga, che abbia già messo ordine nel suo stile di vita, nelle sue emozioni e nella sua vita intellettuale.
I primi anni di yoga devono comprendere asana, pranayama e hatha yoga; devono essere anni in cui noi cerchiamo di lasciare andare i nostri preconcetti e nei quali ci apriamo in modo da aspirare ad una conoscenza vera, basata su esperienza e analisi interna. Solo dopo questo, potremo realmente comprendere le definizioni di asana e pranayama di Patanjali;  una postura ferma e confortevole che può essere mantenuta per ore senza bisogno di muoversi e pranayama inteso come cessazione dell’inspiro e dell’espiro.

Gli otto stadi dello yoga
Nell’approcciare gli otto stadi del raja-yoga dobbiamo mettere da parte l’intellettualizzazione, l’analisi, l’approccio lineare e vedere il tutto come un insieme organico.
Un approccio corretto è decisamente più appropriato perché la perfezione negli yama e niyama può esserci solo se c’è il samadhi. Un completo appagamento e l’abbandono al Divino, per esempio, sono il risultato della trascendenza e non la causa.
Possiamo iniziare praticando yama e niyama ma puntualmente dobbiamo sottoporli ad un lavoro di valutazione. Quando progrediamo dal punto di vista yogico, padroneggiando le pratiche di asana e pranayama e accedendo agli aspetti più interiori di pratyahara, dharana e dhyana, possiamo capire meglio come lavorano yama e niyama.
Gli otto stadi del raja-yoga non fanno parte di un percorso lineare ma lavorano contemporaneamente come parti integranti di un organismo che è appunto il raja-yoga. Tutto va elaborato e padroneggiato allo steso tempo. Questo è il motivo per cui Patanjali afferma che praticando tutte le parti previste dalla disciplina yogica, le impurità diminuiscono fino a quando sarà possibile il risveglio della conoscenza spirituale che culmina nella consapevolezza della realtà. (Y.S., 11:28).
Possiamo dire che gli otto stadi del raja-yoga hanno due aspetti, il primo è quello relativo alla pratica, il secondo alla realizzazione. Patanjali dice che quando si pratica yama a prescindere dalla nascita, dal luogo, dal periodo e dalle circostanze che ci riguardano, questo diventa una disciplina importante che produce risultati auspicabili come la cessazione di tutte le ostilità intorno a chi pratica ahimsa, non-violenza, e la consapevolezza di come e da dove nasciamo, supportato da aparigraha, la capacità di non accumulare. (Y.S., 11:31, 35, 39).

Il sentiero verso il traguardo
Sul sentiero che conduce al successo di yama e niyama, si possono incontrare molti ostacoli. Convinzioni errate, disturbi mentali, passioni, avidità, rabbia, confusione e vecchie abitudini tendono ad imporsi e ad inibire questo processo specialmente se manca la forza di volontà e la determinazione o se il nostro desiderio di progredire spiritualmente è debole.
Patanjali dice che i disturbi che intralciano il cammino possono essere lievi, medi o intensi e che possono essere superati con “pratipaksha bhavana” ovvero pensando l’opposto. (Y.S., 11:33, 34). Per esempio, se desideriamo qualcosa, questo disturberà la nostra mente e il nostro sistema nervoso e ci farà comportare in modo contrario a quanto previsto da aparigraha. Se, a causa di questo, ci sentiamo in colpa o frustrati perché non riusciamo ad ottenere il risultato desiderato e poi proviamo a sopprimere il desiderio, questo ritornerà ancora più forte andando ad aumentare i nostri disturbi mentali.
La soppressione consuma energia fisica e mentale e può portare ad un vero e proprio disagio fisico-mentale. Patanjali ci avverte di usare creativamente la nostra attività mentale mettendo energia nello sforzo di creare una visione positiva che si opponga all’ostacolo, al disturbo manifestato. In questo modo, svilupperemo l’abitudine al pensiero positivo, creativo, e svilupperemo una calma che contrasterà l’eccitazione e l’esaurimento del nostro sistema nervoso.
Ciò che bisogna ricordare è che il progresso in yama e niyama deve essere necessariamente lento e che il successo arriverà nel futuro. Gandhi, per esempio, ha trascorso l’intera vita nello sforzo di padroneggiare la non-violenza e brahmacharya. Anche il nostro approccio deve essere lento, fermo e bilanciato, deve essere preso da una giusta prospettiva. La guida di un maestro esperto, la pazienza, la tolleranza nei confronti del fallimento, l’onestà con se stessi e la persistenza sicuramente sfoceranno nel progresso se non nella padronanza.


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